Breve storia della Diocesi

Cenni di storia

Una veneranda tradizione riporta le origini della diocesi di Volterra ai tempi apostolici. I primi evangelizzatori, inviati dal pontefice Lino, figlio e vanto di questa città, furono tre fratelli oriundi delle Gallie, Carissimo, Dolcissimo e Crescenzio, le cui reliquie sono ancor oggi conservate e venerate nel tempio dei Santi Patroni. Palma di martirio ebbero in questa città le vergini Attinia e Greciniana, al cadere delle persecuzioni; e qui ancora ebbe i natali, da una famiglia di funzionari dell’impero, il futuro papa Leone I Magno.

Volterra, infatti, come fu tra le più grandi lucumonie etrusche, e rimase «grave fermo e onesto» municipio romano, così fu subito nobile e potente diocesi con vastissimo principato religioso e civile. Ma agli splendori della «primitiva cristianità» ebbe a seguire, nel secolo quinto, un periodo di grave decadenza religiosa e morale. Infatti due lettere di Papa Gelasio I (492-496), raccolte nel Decretum Gratiani, riportano memoria della privazione della dignità e della sede al vescovo Eucaristio, per essere passato all’arianesimo, e per avere malversato il patrimonio diocesano continuando il malcostume dei predecessori Opilione, Eumanzio, e d’altri ancora prima di loro. Comunque anche il successore, Elpidio, non risultò migliore, perché mantenne più strette relazioni con la corte di Teodorico in Ravenna, che con la Sede Apostolica in Roma, da cui la diocesi direttamente dipendeva. In questa situazione giunsero, profughi dall’Africa, i santi della «rinascita cristiana»: Giusto, Clemente e Ottaviano, nella comitiva dei santi Regolo, Cerbone e Felice, che, contemporaneamente a Volterra, riscattarono alla vera fede la diocesi di Populonia.

In epoca longobarda il territorio diocesano si ridusse, rispetto all’estensione municipale romana, per l’occupazione lucchese del distretto samminiatese per il premere di Pisa lungo la costa, e per la formazione di un «dominio familiare» nel gualdo Corninese tra Volterra e Populonia. Ma Carlo Magno (nell’anno 774), suo figlio Lodovico il Pio (nell’821) e suo nipote Lotario (nell’845) restituirono ai vescovi e alla diocesi esenzioni e privilegi tali che rifiorì di nuovo in principato, riconosciuto tra i più fedeli dell’impero nei secoli successivi da Ottone I (966), Enrico III (1052); e, coi diplomi di Federigo I (1164) e di Enrico VI (1186, 1189 e 1194), che gli ratificarono il titolo di «principe del sacro romano impero e conte palatino in Toscana», il vescovo di Volterra acquistò diritto di battere moneta, riconoscere consoli e potestà, legittimare spuri, creare conti, giudici e notari.

Come in tali privilegi imperiali, è descritto partitamente, castello per castello, il principato civile; così in due bolle papali di Alessandro III, datate 29 dicembre 1171 e 23 aprile 1179 (che fanno appello a precedenti di Anastasio e di Adriano), è notata minutamente, pieve per pieve, la diocesi entro questi confini: «termini antem ipsius episcopatus his finibus distinguntur ab Elsa usque ad mare, et a termino qui est iuxta Sitichium, et ab alio qui est prope Sufficillum, et ab alio qui est prope Tocchi et Sancta Sicuterat, usque ad Sanctum Cassianum in Carisi».

Oggi soltanto il termine di Carigi presso Montefoscoli è rispettato dagli attuali confini diocesani. I termini di Pieve d’Elsa, di Stecchi nella Montagnola e di Sovicille, fanno parte del vescovato di Colle Vai d’Elsa, smembrato da Volterra nell’anno 1592 e ingrandito ancora nel 1782 con tutto il distretto della propositura di San Gimignano. Tocchi e Santa Sicutera fecero parte dei vicariati di Chiusdino e Monticiano fino all’anno 1954 allorché furono ammassati all’arcivescovato di Siena.

Cattiva amministrazione di vescovi e sopraffazioni comunali (pisane, senesi, fiorentine) vanificarono nel tredicesimo secolo il dominio politico volterrano; gli smembramenti di ieri, lo spopolamento in atto oggi, l’accaparramento economico e politico da parte di cinque provincie circostanti e non benevole, offuscano visibilmente l’importanza dell’antica Volterra, tagliata fuori dagli ambienti decisionali e dalle grandi vie di traffico, facendo apparire città e diocesi quasi un’entità minore e impersonale, se non un’isola di depressione, di decadenza, di recessione; ma, almeno religiosamente, nelle sue rinnovate circoscrizioni vicariali, rinvigorite tramite i consigli pastorali, c’è ancora tale e tanta omogenea esperienza di vita, di tradizione, di cultura, tale riconoscersi nelle glorie del passato e tanta volontà di vivere insieme senza lacerazioni, che esse formano veramente comunità e chiesa e comunione. La sede volterrana, dal 1855 (per una politica di equilibrismi ecclesiastici e regionali in ordine all’erezione del vescovato di Modigliana) ha perduto la diretta dipendenza della Sede Apostolica, ed è divenuta suffraganea dell’arcivescovato di Pisa; però, con bolla «Ut primum placuit» del 10 agosto 1856 il pontefice Pio IX gratificò i nostri pastori col privilegio del sacro Pallio (alla pari con quell’arcivescovo).

Alla data dell’ultima ricerca a cura della CEI «evangelizzazione e sacramenti», la diocesi di Volterra è stata censita per sei zone (o Sesti): «Volterra, Valdelsa, Valdera, Alta Valdicecina, Bassa Valdicecina e Boracifera», dell’estensione complessiva di Kmq. 1.743, con un totale di 84.281 abitanti, al 31 dicembre 1980.

È curioso, e degno di attenzione, sottolineare come la diocesi al cadere del secolo sedicesimo, contasse appena 51.957 abitanti (entro un’estensione più che doppia dell’attuale), allorché fu smembrata (insieme con pochi territori senesi e fiorentini) per erigere Colle Val d’Elsa in altra diocesi, che risultò fornita di soli 12.617 abitanti, ben 8.445 dei quali sottratti a Volterra insieme con quel capoluogo; e questi fu ulteriormente ampliato nel 1782 con tutto lo spazio e contado di San Gimignano (a solo ed esclusivo danno di Volterra) per un totale di 4.470 abitanti.

I due vicariati di Chiusdino e Monticiano, occupati da Siena nel 1954, contenevano allora 6.618 abitanti.

Nel 1970 la diocesi di Volterra è “sede vacante” con un Amministratore Apostolico “ad nutum sanctae sedis” e rischia la soppressione, perché non superava tra l’altro la cifra di centomila abitanti (ne aveva 113.558 con 2.996 Kmq. nel 1949).

Con Bolla Pontificia del 7 Ottobre 1975 la Diocesi di Volterra è stata confermata e l’Amministratore Apostolico, S. E. Mons. Roberto Carniello, è stato nominato Vescovo di Volterra. Inoltre sembra apparire, che Volterra graviti economicamente (per il credito) sotto l’ambito del Monte dei Paschi di Siena e della Cassa di Risparmio di Firenze (si sottace, infatti, volutamente da molti, l’esistenza e l’estesa importanza della Cassa di Volterra); mentre (per l’industria) le sue notevolissime risorse minerarie sono censite altrove: l’elettricità endogena della zona boracifera al dipartimento ENEL di Firenze; quelle chimiche attinenti al salgemma e al boro, a Livorno sotto la tutela Solvay; le altre, lavorate in massima parte dalla Montecatini (che qui sortì la sua prima origine), figurano appartenere all’ambito grossetano.

Di omogeneo (con altra voluta sottolineazione) non figurerebbe al conto di Volterra che un vasto comprensorio montano molto spopolato, con un’agricoltura in troppe zone depressa, e un piccolo centro mal vestito dal ristretto orpello dell’artigianato alabastrino. L’artificiosità sempre deprecabile in ogni situazione, minaccia in questo caso non solo di danneggiare Volterra, mozzandole la vita e seppellendone la storia, ma anche di avvilire la verità e la coscienza e lo spirito evangelico e il vigore apostolico applicandolo, all’insegna del gigantismo, succube di ipotetiche prospettive di maggiore efficienza organizzativa.

Siamo certi che il Signore, per l’intercessione della Madonna di San Sebastiano e dei Santi Patroni Lino, Giusto e Clemente, darà superiore forza di vita alla diocesi di Volterra per continuare nei secoli l’opera di evangelizzazione, di santificazione e di salvezza.

Mario Bocci (Annuario della diocesi di Volterra – 1980 – pp 14-17)