Lettera alla Diocesi – “… e camminava con loro”

“… e camminava con loro”
 
Lettera alla Diocesi
di Mons. Mansueto Bianchi
Vescovo di Volterra
in occasione della prima
Visita Pastorale

 

Carissimi fratelli e sorelle,

questa lettera porta a ciascuno di voi ed all’intera Chiesa Volterrana l’annuncio della Visita Pastorale, la prima del mio servizio episcopale in questa Diocesi.

La decisione è maturata nel clima ecclesiale dell’ascolto, della preghiera, del contatto assiduo ed attento con la vita e le vicende della nostra Chiesa.

Nel maturare la decisione e nel darle un “volto”, molto mi hanno aiutato il Consiglio Presbiterale, il Consiglio Pastorale Diocesano, il Collegio dei Vicari Foranei e dei Direttori degli Uffici Pastorali della Curia, insieme al colloquio con persone che hanno esperienza e profonda conoscenza della nostra vicenda ecclesiale.

Così il progetto della “Visita” è maturato in un clima di sinodalità e di partecipazione che subito lo libera da ogni ombra burocratica o dirigista per renderlo, fino dal suo sorgere, ciò che deve rimanere nel suo compiersi: un evento di Comunione.

          Per questo, prima di presentare gli obiettivi e le modalità della Visita, vorrei sostare con voi sull’orizzonte motivazionale, che aiuta voi e me a riscattare questo gesto da un semplice, seppur importante, adempimento giuridico per riconsegnarlo alla sua profondità biblica e spirituale.

La Visita Pastorale, nella povera opacità del segno dato dalla persona del Vescovo, pone in mezzo a noi, nel cuore del nostro faticoso cammino, l’evento consolante e formidabile della “Visita” di Dio: il Suo rendersi compagno di viaggio perché la lunga fatica della strada non ci vinca e non ci spenga.

Scelgo, come “logo” biblico di questo evento ecclesiale, un brano splendido e ben noto del Vangelo di Luca: l’incontro di Gesù con i discepoli in cammino verso Emmaus (Lc. 24, 13-35).

È un modo per cogliere, nel frammento, quel lungo evento della Visita di Dio che è la Storia di Salvezza, di accedervi mediante quella porta che è la memoria custodita nel libro sacro, di decifrare, a partire da essa, la nostra vicenda di persone e di Comunità.

Soprattutto il brano biblico ci fornisce come l’alfabeto per sillabare la nostra situazione di Chiesa Diocesana e di Comunità Parrocchiali, quale risulta al compiersi della Visita Pastorale.

Percorrendo perciò il brano di Luca potremo riconoscere, quasi in controluce, situazioni ed atteggiamenti che caratterizzano oggi la nostra Chiesa Volterrana; ci riconosceremo in cammino sulla via di Emmaus, che porta lontano dall’evento della Resurrezione e della Speranza; ravviseremo i segni e le orme che dicono la presenza del Risorto accanto a noi, per raccogliere e correggere il nostro cammino, per volgere la nostra strada verso la “Gerusalemme” della Comunione e della Missione.

          Infine da questo incontro con la Parola di Dio, memoria della Visita del Signore ai discepoli che sono sulla strada, ricaveremo indicazioni di obiettivi e di “stile” per il compiersi della Visita Pastorale nella Chiesa di Volterra.

         

1 Il Compagno di strada

 

Non desidero commentare organicamente il brano evangelico di Luca né fare una “lectio divina” sul testo. Vorrei solo, con voi, lasciarmi raggiungere da alcune immagini ed “e-vocare” da esse, quasi come il mio reagire all’ascolto della Parola, permettendo che Essa mi legga, ci legga come Chiesa: all’inizio c’è il gesto di noi che leggiamo il Vangelo, al termine c’è il Vangelo che legge noi, la nostra vita.

 

  • La strada che si allontana

 

“In quel medesimo giorno due dei discepoli si trovavano in cammino verso un villaggio detto Emmaus, distante circa sette miglia da Gerusalemme”.

 

Colpisce questa strada che nel vespro di Pasqua si allontana da Gerusalemme, questo andarsene per sette miglia, quasi a segnare la distanza dall’evento di Resurrezione; colpisce soprattutto quel clima umbratile, quel distendersi di ombre che segna l’ora vespertina, ma ancor di più segna metaforicamente la mente ed il cuore dei due pellegrini.

     Credo che ampia parte del mondo Cristiano oggi, segnatamente la nostra Chiesa di Volterra, stia percorrendo, nella sera, la strada di Emmaus.

Sono elementi oggettivi presenti nel tempo e nell’ambiente che me lo fanno pensare, alcuni dei quali specifici o intensificati nella nostra vicenda ecclesiale Volterrana.

 

1.1.1 Penso al fenomeno dell’evanescenza della fede, di cui già parlai nella prima Lettera Pastorale, inteso soprattutto come crescente insignificanza di Gesù Cristo e del Suo Vangelo dentro la vita personale, familiare, sociale.

Costato quanto debolmente o marginalmente la proposta Cristiana costituisca una sorgente motivazionale nell’agire e nelle scelte, un orizzonte di riferimento significativo per la vita.

Vedo che ci si contenta di evocare l’annuncio Cristiano come una delle possibili grandi fonti etiche della civiltà o della società, riducendolo sostanzialmente a mite ed occasionale apparato di controllo o di picchettaggio per geometrie di vita, personali o collettive, che poco o nulla hanno a che dividere con la proposta Cristiana.

Mi accorgo che sta crescendo il numero dei Cristiani marginali, di coloro che vivono la propria appartenenza alla Chiesa per motivi sempre più estrinseci ed in occasioni sempre più saltuarie.

 

1.1.2 Penso alla precarietà ed alla pluralità di appartenenze che connota oggi la vita delle persone, soprattutto dei giovani, e che rimangono perciò necessariamente appartenenze deboli, talora tra loro contraddittorie, crescentemente determinate dall’emotività, dall’inconsistenza personale, dal bisogno, dalla paura o semplicemente da una tradizione che sempre più si riduce ad esterno esile ammanto.

     Alcune nostre Comunità ecclesiali, o strati di esse, non sfuggono a questo fenomeno.

 

1.1.3 Penso al fascino/fallimento delle soluzioni facili, che provvisoriamente ci abbagliano o ci convincono, ma finiscono poi per ulteriormente logorare il già tenue tessuto della speranza e soprattutto sciupano il bene della comunione ecclesiale. Così è per alcune proposte di Chiesa o di Parrocchia intese programmaticamente come “piccolo gregge” in senso elitario e selettivo, con forti accentuazioni intellettualistiche e spiritualistiche, schematiche sul rapporto fede-storia, fede-vita, impositive di ritmi ed adempimenti davvero difficili per quella ordinarietà “debole” di vita e di persone con cui abbiamo quotidianamente a che fare.

     Antiteticamente c’è una figura di Chiesa qualunquista, indifferenziata, ripetitiva nelle proposte, minimalista ed incapace di veicolare la radicalità del Vangelo. Una Parrocchia che si limita ad accogliere chi viene ed a corrispondere passivamente il richiesto servizio religioso. Una Parrocchia costretta ad inseguire le mutevoli e talora capricciose “necessità” della gente, moltiplicando occasioni e servizi. Una Parrocchia consegnata all’altalenante sensazione di euforia/depressione derivata dall’oscillante numero dei fedeli presenti.

 

1.1.4 Penso alla ricerca di soluzioni individuali, protettive e gratificanti, molto giocate sulla emotività, sulla riduzione della fede ad interiorismo spiritualistico o ad osservanze e pratiche devozionali. Vedo con preoccupazione la fuga di alcuni Cristiani verso personaggi che giocano a fare i mistici, depositari di sedicenti rivelazioni private, sempre in bilico tra normalità e prodigio, che, negandola, esibiscono la propria compiaciuta santità.

     Questa ricerca di soluzioni individualiste e falsamente devote allontana persone valide dalle Parrocchie, dalla comune fatica di evangelizzare la cultura del tempo e di mediare validamente il rapporto fede-storia: passo primo ed insostituibile di ogni servizio alla Comunione ed alla Missione.

 

1.1.5 Penso alla fatica della nostra Diocesi e delle nostre Parrocchie nel fare la scelta della Missione e del primato della formazione, concretamente costruendola nella ordinarietà della prassi pastorale. Siamo spesso tentati di tornare indietro e di riconsegnarci ad un comportamento ripetitivo ed inerte, anche se mostra ormai la sua inadeguatezza.

La nostra vicenda di Chiesa è faticosamente in esodo verso una catechesi catecumenale, un contatto forte e diffuso con la Parola del Signore (“Gruppi di Ascolto”), una celebrazione liturgica che sia effettivamente manifestativa della fede, dell’unità, della molteplicità dei doni e dei servizi presenti nella Comunità, una attenzione verso le problematiche sociali e le molteplici forme di povertà presenti nel nostro territorio e nel mondo, una effettiva formazione e promozione del laicato come originale, stupenda risorsa per la nuova evangelizzazione, uno stile di Parrocchia più corresponsabile e comunionale (Consigli Pastorali, Consigli per gli Affari Economici, Unità Pastorali). E’ un cammino complesso di fatica, di pazienza, di tenacia e di passione sul quale non tutte le Parrocchie hanno iniziato ad avventurarsi, oppure avvertono forte il richiamo al ripiegamento e al rientro.

 

1.1.6 Penso a certe specifiche difficoltà del nostro ambiente volterrano che, pur tra tante risorse e qualità, accentuano la fatica della Comunione e della Missione. In particolare penso ad un eccessivo senso della propria individualità che genera campanilismi e separazioni; ad una certa propensione alla critica ed alla polemica esasperata (forse “cono d’ombra” dell’inarrivabile genio toscano); ad una diffusa componente anticlericale, retaggio di passate vicende storiche e politiche (di cui anche la Chiesa porta una parte di responsabilità), che rende più difficile l’incontro e più faticoso il dialogo.

 

1.1.7 Penso infine alla pochezza delle nostre forze, dei nostri numeri, dei nostri mezzi. Il numero dei Sacerdoti e dei Religiosi cala drammaticamente mentre sale l’anzianità con le inevitabili limitazioni. Anche la presenza e l’opera generosa dei laici, soprattutto donne, è segnata da grande inadeguatezza di forze e da fatica.

     Sono le stigmate della nostra povertà: non per lasciarci cadere le braccia, ma per tendere la mano ed alzare gli occhi verso il Signore da cui ci verrà l’aiuto. La nostra povertà non è motivo di scoramento ma fa titolo d’implorazione e d’attesa davanti al Signore. Fa anche titolo di riflessione e di responsabilità davanti alla nostra coscienza ed al mondo, per volgerci ad un progetto di Chiesa meno clericale e più caratterizzata da una diffusa ministerialità.

 

Sono queste alcune delle “ombre” che si allungano sulla nostra strada e sul nostro cuore mentre stiamo camminando verso Emmaus, mentre cioè rischiamo di allontanarci dalla luce mattinale della Resurrezione.

Sono oggettive difficoltà che incontra la presenza e l’opera della Chiesa in questo tempo. E’ la strada di Emmaus come percorso di solitudine e di tristezza, “distante sette miglia da Gerusalemme”, cioè dall’esperienza vivificante e dall’incontro gioioso con il Risorto.

Credo che queste “ombre” vespertine, queste “miglia” di lontananza debbano fornire come una griglia di lettura, un codice di interpretazione, quando, nella Visita Pastorale, ci sarà chiesto di fare il punto sulla situazione delle nostre Parrocchie e dei nostri Vicariati.

 

1.2 Il cuore spento

 

“Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele. Ma ormai…”

 

          La strada verso Emmaus, oltre che da problemi oggettivi e, per così dire, esterni che la nostra Chiesa incontra è anche caratterizzata da uno stato d’animo, da un modo di essere dentro, nella propria soggettività, ben rappresentato, nel racconto di Luca, dai verbi al passato.

E’ quello che potremmo chiamare “il cuore spento” o “il cuore peso”, così caratteristico di chi si allontana da Gerusalemme verso Emmaus, la terra del tramonto. Credo che anche nella nostra Chiesa e nelle nostre Parrocchie sia  riconoscibile questo soggettivo atteggiamento, questo modo di configurarsi della mente e del cuore dinanzi al tempo ed alle vicende che ci toccano.

Vorrei indicare alcuni aspetti e motivazioni di questo “cuore spento”.

 

1.2.1 Ne riconosco una prima manifestazione nel diffuso senso di inadeguatezza al tempo ed all’ambiente nel quale ci muoviamo. Ci accorgiamo che sta inesorabilmente tramontando una visione di Parrocchia come centro di riferimento del mondo religioso e sociale, presenza significativa, per adesione o contrapposizione, sull’orizzonte di vita delle persone.

Nella nuova situazione ci sembra talora di essere relegati nello spazio dell’insignificanza, dell’irrilevanza sociale e culturale. Questo genera un senso di frustrazione, di personale amarezza, particolarmente doloroso e pericoloso nei Sacerdoti, che sfocia in una pastorale rassegnata e ripetitiva, incapace di analisi e di progetto, perché spento è il cuore di chi la genera. E’ la sopravvivenza di una pastorale senza vita!

 

1.2.2 Riconosco un secondo aspetto di questo crepuscolare cammino verso Emmaus nella incapacità di accorgerci positivamente del nuovo e di riconoscere i nuovi segni di apertura e di desiderio che sorgono nella vita delle persone. Ritornerò più avanti su questo aspetto. Rilevo soltanto che, se il nostro atteggiamento mentale è pregiudizialmente negativo o stabilmente sconfortato verso gli stili ed i contenuti della vita oggi, ben difficilmente potremo cogliere i nuovi “areopaghi” personali,  familiari o sociali in cui poter recare la proposta di Gesù. Così si crea una situazione paradossale: da un lato si costatano nuove aperture, attese, disponibilità, dall’altro vi è la nostra sincera e forte determinazione a recare il dono del Vangelo dentro la vita delle persone; ma l’attesa ed il dono si sfiorano senza incontrarsi, convivono senza riconoscersi e perciò non accade l’incontro.

Certo questo riconoscimento di nuove attese e di nuovo desiderio di Dio che si apre nella vita delle persone chiede un’opera di discernimento: personale, accurata, umile. Chiede l’umiltà di chinarsi sui piccoli segni, di curare le possibilità che sorgono in ognuno, di dedicarsi a ciò che parrebbe solo il sottobosco della vita: piccola vegetazione che può diventare albero. Chiede altresì la fatica della dedizione personale, la cura di ciascuno come fosse “unico”, la capacità di farsi compagno di strada con ogni vita, la pazienza di mille volte ricominciare.

Proprio come fa Dio con noi!

 

1.2.3 Un ulteriore sintomo del cuore spento con cui la nostra Chiesa percorre le sette miglia che la allontanano da Gerusalemme è il raffreddamento della fede e dell’amore al Signore. Può sembrare banale!

Credo che oggi un po’ frettolosamente si sorvoli questa regione della vita personale ed ecclesiale a vantaggio di più accurate perlustrazioni negli ambiti pastorali, metodologici, sociali e quant’altro.

Può sembrare un discorso “retró”, vagamente spiritualista o da configurarsi nell’ambito della “privacy” religiosa. In realtà è semplicemente decisivo: per il fatto elementare che tutto quanto facciamo nell’ambito della conoscenza, del progetto, dell’attuazione, della verifica nei diversi settori della vita ecclesiale è come l’esplosione e l’irradiamento di quell’insostituibile ed incomparabile evento personale che è la fede e l’amore a Gesù Cristo. Senza di questo tutto, dico tutto, anche se ha l’apparenza dell’importanza o dell’efficacia è semplicemente e drammaticamente ridicolo.

Per questo dobbiamo chiederci, con inerme e spietata verità, se dietro e dentro il cuore spento sulla via di Emmaus non ci sia una pochezza di fede e di amore al Signore. Ne fa criterio e termometro la quotidiana fedeltà alla preghiera, soprattutto liturgica, il suo effondersi dall’ambito personale a quello familiare e parrocchiale; la consuetudine spirituale che abbiamo con la Parola di Dio; la capacità di trovare lì la forza per vicende personali o pastorali dolorose, deludenti, defaticanti. Se tra noi fosse in atto un raffreddamento della fede e dell’amore al Signore, supinamente accettato o addirittura snobbato, dovremmo dirci semplicemente così: stiamo morendo! Alla Chiesa di Smirne il Signore dice: “tu hai l’apparenza di essere viva ma in realtà sei morta” (Ap. 3, 2).

 

1.2.4 Un ultimo sintomo vorrei rilevare, ravvisandolo nel nostro volto di Comunità e preti senza gioia. Proprio come i discepoli di Emmaus: “si fermarono col volto triste…”.

L’assenza di gioia dice la pochezza dell’amore: gaudium ex charitate!

Non ce la possiamo dare, non è nostra produzione: è il traboccare della vita trinitaria nel cuore del credente. Non la possiamo fingere: sarebbe una gioia di plastica, al silicone: un “lifting” ridicolo.

Non la possiamo surrogare con l’impegno, la serietà o addirittura il volontarismo: sarebbe come pretendere di alzarci in aria da soli, tirandoci per i capelli.

La gioia di un prete, di un laico, di una Comunità è un potenziale irresistibile di testimonianza e di credibilità dentro la convivenza delle persone: ha il potere di coinvolgere, di sedurre, di persuadere.

Comunità arcigne, tutte spese nel mostrare i muscoli… pastorali e la mascella volitiva fanno “flop”, perché il “motore” segreto della Trinità, della Chiesa, della vita e di tutto quanto ne deriva è puramente e semplicemente l’amore che si attua nella gioia. Dico gioia: una categoria evangelicamente precisa, non allegria, benessere, baldoria, sballo o quant’altro di sottoprodotti si possa elencare.

 

Questi sono, a mio avviso, alcuni elementi oggettivi (cfr. punto 1.1) o soggettivi (cfr. punto 1.2), che ci spingono a riconoscere od a ritrovare la nostra Chiesa di Volterra e le nostre Comunità Parrocchiali sulla via di Emmaus, il cammino vesperale della dimenticanza e dell’allontanamento dal Signore Risorto.

 

Ma non è un paesaggio deprimente ed arido quello che si coglie guardando alla nostra Chiesa, sono anzi numerosi ed incoraggianti i segni della vicinanza del Signore nel nostro cammino.

 

1.3 La compagnia

 

“Gesù in persona si avvicinò e si mise a camminare con loro. Ma i loro occhi erano impediti dal riconoscerlo”.

 

E’ importante questo momento, il riconoscimento delle nostre risorse, il dare nome alle nostre speranze, sia per evitare una visione unilaterale ed accasciante della situazione pastorale, sia per non fare torto a Dio che sa tessere le Sue primavere anche dentro le giornate spente e gelide dei nostri inverni.

Come Israele anche noi, Chiesa di Volterra, possiamo recitare il nostro piccolo salmo di memoria e di lode, riconoscendo le orme di Dio che accompagnano e talora “portano in braccio” il nostro cammino: “eterno è il Suo amore per noi!”.

Credo che nella Visita Pastorale ogni Comunità debba recensire questa “compagnia” con cui il Signore la rincuora lungo la strada, donando frutto al nostro operare e pregare.

 

1.3.1 Un primo segno della “compagnia” del Signore al cammino della nostra Chiesa appartiene non all’ordine delle costatazioni ma a quello delle certezze di fede ed è fondativo di speranza tenace, oltre che motivo inesausto di servizio e dedizione. Vorrei indicarlo così: la certezza che il Dio Creatore è anche il Dio Redentore.

Può sembrare un’affermazione astrusa e troppo teorica, in realtà essa significa quanto Gesù dice nel Vangelo di Giovanni: “il Padre mio è sempre all’opera ed anch’io opero”. Chi ha creato il cuore dell’uomo, configurandolo a propria immagine, è anche Colui che lo cerca, che lo chiama, che lo salva. C’è perciò nella radice di ogni vita il bisogno di Dio, l’attesa viva di Lui. Potrà essere rimossa, snobbata, negata, forse sepolta sotto cumuli di macerie, però finché una persona rimane persona, rimane desiderio di Dio. E’ la voce più tenace e più implacabile con cui Dio ci chiama a Sé, instancabilmente, lungo tutto il dipanarsi della vita. Ma è anche la spiegazione ultima e adeguata di quanto le nostre iniziative e proposte riescono a raccogliere di adesione e risposta.

Certo non è questa una “compagnia” esclusiva del Signore alla nostra Chiesa, ma è tanto più incoraggiante quanto più il contesto in cui ci troviamo a vivere ed operare è difficile ed arido. E quello di Volterra lo è!

Il nostro impegno pastorale, il nostro servizio personale tentano di aprire una strada verso il cuore dell’uomo e del tempo; dà lena alla fatica sapere che dal cuore dell’uomo e del tempo il Signore sta aprendo una strada che volge incontro a te.

 

1.3.2 Un secondo segno di questa “compagnia” del Signore al cammino della nostra Chiesa lo riconosco nelle quotidiane, umili fedeltà di preti e laici: è la santità feriale della nostra Chiesa, delle nostre Parrocchie!

Cogliendo un’immagine dall’Apocalisse, vorrei dire che le nostra Chiesa tesse umilmente ma tenacemente l’abito delle nozze nel lungo cammino del tempo: “Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a Lui gloria, perché sono giunte le nozze dell’Agnello e la sua sposa è pronta. Ecco: le hanno dato una veste di bisso puro, splendente. Il bisso rappresenta le opere buone dei santi” (19, 7-8).

Le nostre Parrocchie non sempre sono capaci di accorgersi, di accogliere, di lasciarsi impreziosire da questo tesoro nascosto nel vaso di creta della quotidianità e della scontatezza.

Dà una gioia profonda e segreta accorgerci che il Signore ci accompagna lungo la strada attraverso l’umile santità dei fratelli, le nascoste, intense, provate fedeltà di donne e uomini che a volte ci sono prossimi, a volte neppure conosciamo. Ed è una voce potente e suasiva che chiama e scuote la nostra tiepidezza.

 

1.3.3 Un altro modo con cui il Signore accompagna il cammino della Chiesa e delle persone è costituito, per così dire, dalle linee di frontiera della vita. Sono quei momenti e quei passaggi in cui la linea piatta del quotidiano ha un sussulto, si leva a picco e l’uomo rimane scoperto dinanzi alle emozioni, indifeso davanti alle domande che gli affiorano o gli esplodono dentro, perché la crosta dell’abitudine, della scontatezza è stata spezzata, il galleggiamento non ti salva più.

Penso soprattutto all’esperienza del dolore, della morte, della vita che sorge, dell’amore, della bellezza. Sono come porte improvvisamente spalancate, brecce aperte in quella “muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”, cioè nella nostra vita che costeggia il bordo del mistero.

Occorre chiederci se, come Comunità Cristiane, siamo capaci di riconoscere questa “compagnia” del Risorto lungo la nostra strada, se siamo capaci di intercettare queste linee di frontiera della vita, di farci accanto con discrezione e saggezza alle persone, per aiutarle a sillabare il senso di quanto il Signore viene scrivendo nel libro della loro esistenza: “Filippo si mise a correre e…disse: capisci quello che leggi? Quegli rispose: come posso se nessuno me lo spiega?” (Atti 8, 30-31).

 

1.3.4 Segno importantissimo della “compagnia” del Signore al cammino della nostra gente è la Parrocchia.

Essa è al centro della vicenda pastorale della Chiesa e perciò della Visita Pastorale.

Di natura sua la Parrocchia rimanda alla Diocesi di cui è articolazione e che sola garantisce, nell’ordine sacramentale, il rapporto del Vangelo, dei Sacramenti e della Chiesa con un determinato luogo.

La Parrocchia rimane però la forma storica con cui la Chiesa locale si rende più validamente presente sull’articolazione del territorio dove si svolge la vita della gente. E’ attraverso la Parrocchia che la nostra Chiesa di Volterra si sforza di dare forma al Vangelo nel cuore dell’esistenza umana che si svolge in queste nostre terre. Essa mantiene alla Chiesa il suo volto di “Chiesa di popolo”, porta l’annuncio del Vangelo nei capillari della vita sociale, familiare, personale, garantisce a tutti il diritto di accedere ai beni della Salvezza, soprattutto ai poveri di cultura, di formazione, di ulteriori e più elitarie appartenenze.

Certo, nel quadro della Visita Pastorale, dobbiamo chiederci se riusciamo ad essere una Parrocchia in rapporto vivo con la Diocesi e con la vita delle persone. Soprattutto se riusciamo ad essere una Comunità eucaristica e missionaria, cioè non autoreferenziale, contenta del trovarsi bene insieme ai “soliti noti”; non mera distributrice di servizi religiosi ma suscitatrice di fede; radicata in un luogo, ma anche capace di intercettare i nuovi “luoghi” dell’esperienza umana oggi bisognosi di presenza e di evangelizzazione; Chiesa “di base” per la gente anche semplice ed umile, ma senza che questo diventi fragilità o annacquamento della proposta; Chiesa di popolo ma senza trasmutarsi nel folklore o nella religione civile.

La nota pastorale della C.E.I. “Il volto missionario della Parrocchia in un mondo che cambia” ci offre in merito indicazioni e criteri di grande valore e concretezza.

 

1.3.5 Riconosco un segno caratteristico della “compagnia” di Cristo al nostro cammino di Chiesa nel desiderio di pace, di giustizia, di armonia con il Creato che pulsa fortemente nella cultura e nella mentalità nostra e di tante persone, nostre compagne di strada.

Non si tratta di convergenze strategiche da usare strumentalmente per la conversione, si tratta di consonanze tra valori profondamente radicati nel Vangelo ed emergenti nella coscienza e nell’attenzione della società civile. Ancora una volta sono spazi umani di incontro, di dialogo, di collaborazione cui non possiamo mancare, porte che si aprono perché l’annuncio Cristiano possa percorrere tutta la strada dell’uomo e prolungarla ancora fino all’incontro con il Signore Gesù.

 

1.3.6 Un singolare segno, cui vorrei porre attenzione ed indicare come forma forte e nitida di accompagnamento da parte del Signore, è il pontificato del nostro Papa Giovanni Paolo II. Forse qualcuno riterrà improprio o “fuori serie” questo riferimento, ma credo sarebbe cecità intellettuale, prima ancora che spirituale, non accorgerci di quanto il Signore abbia camminato con noi sulla strada della storia umana e della storia di Salvezza attraverso questa persona ed il suo messaggio.

Il servizio reso alla civiltà ed alla Chiesa sul tornante che raccorda due millenni ci fa riconoscere nella persona del Papa un modo storicamente luminoso con cui il Signore “si accostò e camminava con loro”.

E questa presenza del ministero petrino, in particolare il doloroso e luminoso servizio di Giovanni Paolo II, aiuta la nostra Chiesa particolare, piccola e geograficamente dispersa, a non ansimare nel respiro breve dei particolarismi e dei campanilismi, ma ad avere l’occhio ed il cuore della “cattolica”, ritmando il proprio cammino sull’orizzonte dilatato della Chiesa e del mondo.

 

1.3.7 C’è un ultimo segno di quella presenza e di quella “compagnia” al cammino della nostra Chiesa che vorrei indicare: le piccole realizzazioni che riusciamo ad esprimere. La Visita Pastorale dovrà saperle cogliere, valorizzare, sviluppare. Sono gli obiettivi che, almeno parzialmente, riusciamo a raggiungere; sono le fatiche e la costanza che, qualche volta, incontrano un’oasi di riposo.

Nessuna delle nostre Parrocchie è tanto povera da non avere neppure quest’”obolo della vedova”, questi due spiccioli da presentare al Signore. Sembrano davvero pochi e poveri i nostri risultati, ma sono tutto il nostro tesoro, il prodotto della nostra vicenda ecclesiale e pastorale.

Volterra è una difficile terra, “un’arida terra” come dice un nostro canto, ma io credo che c’è più gloria in un fiore stento germogliato nel deserto che in tutto il giardino dell’Eden.

 

1.4 La scrittura

 

“O stolti e tardi di cuore nel credere a quello che hanno detto i profeti! Non doveva forse il Cristo patire tutto questo ed entrare nella sua gloria? E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro quanto lo riguardava in tutte le Scritture”.

 

Siamo dinanzi ad un momento decisivo, ad una svolta nella vicenda di Emmaus, che potremmo indicare come l’incontro con la Parola.

 

1.4.1 E’ il primo modo di manifestarsi del Signore sulla strada dei due verso Emmaus. Sono, per così dire, due Cristiani delusi, ormai in allontanamento e marginali. Figura di una situazione tanto frequente oggi nelle nostre Parrocchie, immagine di fratelli e sorelle che sono folla.

Il Signore li raggiunge prima di tutto entrando nella loro situazione di pellegrini in allontanamento, ma, ancor di più, entrando nella loro mente e nel loro cuore di delusi e spenti nella speranza. Abbiamo un movimento di immagini che ci tratteggia Gesù come Buon Samaritano del cuore ferito dei due discepoli. Egli sosta presso di loro lungo la strada, cura la fede ferita con l’olio delle Sua Parola ed il vino forte della Sua presenza.

Non dobbiamo dimenticare che le nostre Parrocchie, nella persona dei Sacerdoti e di coloro che più intensamente credono e vivono, devono farsi carico di questa vicinanza ai fratelli ed alle sorelle “in allontanamento”. Sono i “Cristiani marginali” di cui già vi ho parlato nella mia prima Lettera Pastorale.

Occorre che cerchiamo, senza sosta, modi nuovi ed antichi per farci vicini e “camminare con loro”, come Gesù con i due di Emmaus. La Diocesi e le Parrocchie non dovrebbero stancarsi di pregare, di riflettere, di progettare su questo, perché essi sono il termine primo del nostro cammino verso la missione.

Tra gli strumenti e le risorse che ci sono possibili, vorrei indicare i “Gruppi di Ascolto del Vangelo”, realizzati nelle famiglie, come un modo per portare la Parola di Dio a contatto con la vita delle persone, soprattutto per cercare di raggiungere e coinvolgere i Cristiani più demotivati o frastornati.

Occorre che la potenza della Parola li raggiunga e parli nuovamente e persuasivamente alla loro vita: come per l’annuncio della Parola è generata la fede, così per l’incontro significativo con Essa la fede è rimotivata e rafforzata.

 

1.4.2 Ma questo incontro con il Signore, presente nella Parola, occorre sia un momento stabile e frequente nella vita di ogni Parrocchia. La nostra fede nasce da lì, di quella Parola vive, Essa è la nostra luce e la guida nel cammino della vita “lampada ai miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal. 118, 105).

Vorrei soprattutto notare come il Signore Gesù, accostandosi al cammino deluso dei discepoli ed alla loro fede crepuscolare, suggerisce e dona la Sua Parola come nuovo alfabeto della vita: “partendo da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro quanto lo riguardava in tutte le Scritture”.

Nella luce della Scrittura i fatti accaduti assumono un nuovo significato, l’assurdo trova una intelligibilità, le opacità della vita si dissipano, il dolore parla il linguaggio dell’amore.

Non devono stancarsi le nostre Parrocchie, nella loro programmazione pastorale, di proporre coraggiosamente e diffusamente ai Cristiani un incontro con la Parola di Dio intellettualmente e spiritualmente provveduto. Essa deve improntare la Catechesi e tutta l’attività formativa, deve “frequentare” la vita delle famiglie e la vicenda spirituale delle persone, deve soprattutto radicalmente convertirci, cioè conformare i nostri criteri, i nostri progetti, i nostri obiettivi.

Nella Visita Pastorale occorrerà perciò che le singole Parrocchie si chiedano quanto effettivamente sono consegnate al Vangelo e si lasciano determinare nell’obbedienza della fede dalla potenza della Parola: “ora io vi affido a Dio ed al dono della sua parola” (At. 20, 32).

 

1.5 Il pane spezzato

 

“Mentre si trovava a tavola con loro prese il pane, pronunciò la benedizione, lo spezzò e lo distribuì loro. Allora si aprirono i loro occhi e lo riconobbero. Ma egli disparve ai loro sguardi”.

 

Siamo al vertice dell’incontro come esso può accadere per noi che siamo sulla strada. Lo spezzare il pane è la memoria della Pasqua del Signore, del dono sacrificale della sua vita, segnato nel Sacramento Eucaristico ed affidato alla Chiesa per il suo cammino attraverso il tempo.

L’Eucarestia è la Pasqua della strada. E’ la forma più decisiva ed alta dell’incontro situata nel “frattempo” della Chiesa: tra il tempo di Gesù e la fine del tempo nella “Parusìa”, il ritorno glorioso del Signore.

In quel pane spezzato raggiunge il suo vertice di efficacia la potenza della Parola, si attua la presenza personale del Signore Risorto; da quel pane spezzato tutti siamo redenti dalle nostre solitudini, dalle divisioni, e donati gli uni agli altri nel vincolo della pace: “noi tutti, poiché mangiamo un solo pane, formiamo un solo corpo” (I Cor. 10, 17).

L’Eucarestia è il centro della Comunione e perciò della Chiesa, l’evento che sempre la rigenera e la raccoglie, la sorgente inesausta del perdono, dell’agape, della “kènosi” e della “diaconìa”, cioè dell’amore che sceglie di servire fino al dono della vita: la forma precisa con cui l’amore diventa Cristiano e si realizza nella Comunità dei discepoli.

          Questo amore, fatto persona nell’Eucarestia, riversato per la potenza dello Spirito nel cuore del credente e nella vita della Comunità, è quello che genera la Chiesa, che la compagina nell’unità, che l’impreziosisce con la diversità di doni e di carismi, che la trae fuori da comodità, timidezze e paure, che la spinge coraggiosamente sul cammino della missione.

E’ questo pane spezzato che esige e chiama alla santità della vita, personale ed ecclesiale, donandocene la forza ed il desiderio perché essa si compia in opere e giorni: è il pane dei forti.

E’ questo pane che custodisce dentro di sé la memoria della patria, essendo Egli stesso, il Signore, la nostra terra e la nostra patria: per esso viviamo a cuore aperto nel mondo, nella città degli uomini, senza fughe o paure, ma non dimentichiamo che “la nostra patria è nei cieli”. Guardando a quella, umanizziamo le città della terra e tenacemente apriamo alla speranza gli orizzonti umani che tendono a richiudersi: quel pane è il pegno della gloria futura.

E’ questo pane spezzato che fa della Domenica un giorno nuovo, giorno del Signore, giorno della Chiesa, giorno dell’uomo: ottavo giorno, custode di ogni progetto e di ogni speranza che guarda il Regno e che ci dà vita: “senza il giorno del Signore noi non possiamo vivere” (Risposta dei Martiri di Abirene).

Dinanzi all’Eucarestia “si aprirono i loro occhi e lo riconobbero”: è quanto dobbiamo fare personalmente ed ecclesialmente, è quanto dobbiamo tornare a fare ogni Domenica, perché “il nostro cuore non si appesantisca lungo la via”. Aprire gli occhi e riconoscere il Signore è, per la Comunità Cristiana, vivere la fede e vivere di fede, è conformare la nostra vita alla Eucarestia che celebriamo, è consegnarci gli uni agli altri nel gesto del perdono e del servizio fraterno, è ripensare in chiave missionaria e di riproposta della fede le nostre ordinarie attività pastorali, di celebrazione, di formazione, di carità.

Riconoscere il Signore nel pane spezzato significa diventare noi stessi un pane spezzato, una vita donata per i fratelli: segnatamente per i più poveri, o perché meno hanno o perché meno sono in quanto incapaci di donare.

La Visita Pastorale dovrà essere un’occasione forte per le nostre Parrocchie allo scopo di verificare la decisività dell’Eucarestia per la loro vita, la sua centralità nel vincolo della Comunione, la sua propulsività sul cammino della Missione. Dovranno chiedersi le nostre Parrocchie se davvero “si aprono i loro occhi e lo riconoscono nello spezzare il pane”, se sanno “discernere” il corpo del Signore con una vita santa e testimoniale, secondo l’affermazione terribile di S.Paolo: “chi mangia e beve senza discernere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (I Cor. 11, 29).

 

1.6 La strada che ritorna

 

“Quindi si alzarono e ritornarono subito a Gerusalemme dove trovarono gli undici riuniti e quelli che erano con loro”

 

Quant’è diverso il cammino che ritorna a Gerusalemme da quello, spento e crepuscolare, che conduceva ad Emmaus! Quello era un segnare la distanza tra la vita e l’evento della Resurrezione, questo un essere colmi di certezza, il ridondare di una presenza che viene portata ai fratelli, riversata nella Comunità.

Si può riconoscere in questo “ritorno a Gerusalemme” l’immagine del servizio che dobbiamo rendere alle nostre Comunità, il servizio del credente ai credenti, del discepolo ai discepoli.     

 

1.6.1 E’ anzitutto un servizio alla Comunione perché essa rende forte e viva nella Comunità la “memoria” del Signore. La maturità spirituale di fratelli che hanno una più intensa esperienza e conoscenza del Signore Gesù o possono offrire un più generoso servizio alla vita della Comunità, deve diventare un’occasione non per ritagliarsi coriandoli di potere, di considerazione o di consenso, ma per rendere più forte e più operosa la “memoria” del Signore nella vita di ciascuno e dell’intera Comunità. “Trovarono gli Undici riuniti e quelli che erano con loro, i quali dicevano: il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone. Ed essi raccontarono ciò che era loro accaduto lungo il cammino e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane”(vv. 33-35).

La testimonianza ed il racconto dei due di Emmaus rende più salda la professione di fede del gruppo ecclesiale nel Signore Risorto ed amalgama la Chiesa nel vincolo della Comunione.

Non dobbiamo stancarci di ricondurre continuamente le nostre Parrocchie a questo centro della Comunione che è la fede nel Signore Risorto; diversamente, quando si attenua la “memoria” del Signore, prendono campo personalismi, leaderismi, clericalismi e laicismi, o semplicemente mediocrità ed insignificanza, tutta vegetazione del sottobosco o piante opportuniste che estinguono con dolce morte la vita della Chiesa.

E’ compito soprattutto dei Sacerdoti riconoscere la presenza ed il dono di fratelli che possono ravvivare, nel cuore della Chiesa, la “memoria” del Signore, senza che il loro lume di fede e di carità rimanga nascosto sotto il moggio, ma è altresì loro compito moderare e temperare il dono di ciascuno nel servizio del bene comune.

 

1.6.2 Ma il cammino di ritorno a Gerusalemme per “contagiare” la comunità dei fratelli con il fuoco dell’incontro vissuto, rimanda anche alla vicenda missionaria che la Comunità delle origini si appresta a vivere e che Luca siglerà nel racconto della Pentecoste (At. 2) ed attraverso l’intero libro degli Atti.

Ancora una volta approdiamo al tema della Missione: non è una forma maniacale del Vescovo, è invece l’ordinario orizzonte di azione di tutta la vicenda pastorale che si svolge in una Parrocchia.

Occorre che noi ripensiamo e riformuliamo la liturgia, la catechesi, la carità, la testimonianza della vita a partire da questa dominante preoccupazione missionaria da cui dipende il futuro della Chiesa, la società del futuro e se il Cristianesimo avrà un futuro nel nostro Occidente.

Ormai la nuova frontiera della missione non è più soltanto un settore della vita pastorale che si vive in una Parrocchia, ma è il suo orizzonte permanente ed il paradigma a partire dal quale dobbiamo dare forma e contenuto a tutta la vicenda pastorale.

          Vorrei che la Visita Pastorale aiutasse a “fare il punto” della nostra situazione in merito, servisse a diffondere questa convinzione e questa mentalità, spingesse le diverse Parrocchie a ripensarsi e riformularsi in vista di una presenza missionaria in mezzo alle persone tra le quali viviamo. Ritengo anche, come già ho detto, che questa preoccupazione e finalizzazione missionaria della nostra pastorale debba proporsi come obiettivo primo e più immediato l’ampio e crescente settore dei Cristiani marginali.

Chiedo alle Parrocchie ed alle Associazioni di invocare con insistenza il dono dello Spirito che ci dilati il cuore a misura della “cattolicità” dell’Evangelo affidatoci, ci riscuota da torpori, stanchezze ed inerti galleggiamenti, ci aiuti a pensare, a cercare ed “inventare” anche nuovi ministeri e percorsi pastorali al servizio della missione.

– Vorrei che le Parrocchie ripensassero profondamente e criticamente il loro modo di rapportarsi alle persone, a volte così impersonale e senza volto, subito giocato sugli adempimenti, sugli obblighi, sulle osservanze. Forse le nostre Parrocchie devono essere soprattutto “casa” per Gesù Cristo, per i Cristiani, soprattutto per i “lontani”.

– Vorrei che ci chiedessimo quanto sono capaci le nostre Parrocchie di intercettare le emergenze del cuore e dell’intelligenza, non per tattica confessionale, ma per l’evangelica “con-passione” con il vissuto della gente.

– Vorrei che guardassimo con occhi nuovi l’immenso patrimonio di arte e di bellezza che la Provvidenza ed il lungo cammino nella storia ha consegnato alle nostre Chiese. Il più delle volte è solo “esposto” ai visitatori, magari anch’essi visti con insofferenza e sopportazione, senza renderci conto della formidabile risorsa di evangelizzazione della cultura e delle persone che abbiamo a disposizione.

– Vorrei che le Parrocchie nella loro ordinaria vicenda fossero capaci di riconoscere e valorizzare l’eredità e le radici Cristiane presenti nelle nostre convivenze civili e nel nostro patrimonio culturale, senza lasciarci espropriare o renderci estranei a ciò che è nostro, ci esprime e non permette al Cattolicesimo italiano di essere né marginale né residuale nella società.

– Vorrei anche che le Parrocchie esistessero come strutture “aperte”, non di recinzione alla vita della gente, ma di accoglienza e di servizio e si volgessero ad una pastorale d’insieme com’è necessario ad una presenza missionaria sul territorio. Una pastorale non aggregativa (più Parrocchie aggregate insieme) ma integrativa, che metta le Parrocchie vicine “in rete” per un servizio al Vangelo ed alle persone più provveduto, più organico e completo, più comunionale.       

 

1.6.3 C’è un piccolo avverbio nel racconto di Luca che accompagna il cammino di ritorno a Gerusalemme, il cammino della missione: “subito”.

Esso da un lato dice che il tempo messianico è giunto, non è più possibile il rimando, l’attesa, la dilazione. Dice anche l’istanza incontenibile del cuore che spinge i due pellegrini al ritorno ed all’annuncio, dopo che ”lo riconobbero nello spezzare il pane”. Dice infine, seppur allusivamente, la difficoltà e la pesantezza di questo cammino che, nel cuore della notte, conduce a Gerusalemme, cioè a rafforzare la fede dei fratelli nel vincolo della Comunione ed a volgerci verso la Missione: annunciare nuovamente il Vangelo a chi ne ha perduto vitalmente memoria o mai lo ha incontrato.

Questo cammino avviene “subito” per i due discepoli di Emmaus, ma “subito” vuol dire di notte, sotto il segno della stanchezza per la lunga strada già percorsa e della solitudine perché sulla strada in quel momento sei solo, non hai esterno supporto né compagnia.

Mi pare tanto simile alla situazione delle nostre Chiese quel “subito” che vuol dire fatica e solitudine. Ci troviamo a percorre le strade della nuova evangelizzazione non più partendo da quella esuberanza di vita Cristiana che caratterizzava le Comunità nella prima evangelizzazione dell’Europa, ma da una situazione che, almeno sociologicamente, appare in contrazione, quasi in ripiegamento ed in crescente difficoltà.

È perfino ovvia allora la domanda: “dove troveremo il pane?”, cioè su quale roccia potremo fondarci per non rimanere sgretolati o dispersi? Quale radice ci porterà per non finire anche noi disseccati e riarsi? Come potremo evangelizzare il mondo, il piccolo-grande mondo del nostro quotidiano, senza rimanere invece mondanizzati?

 

1.7 Il cuore che brucia

 

“Si dissero allora l’un l’altro: non ci ardeva forse il cuore nel petto quando Lui ci parlava lungo la strada?”.

 

Certamente la forza indistruttibile e la risorsa inesausta del nostro cammino missionario è la persona di Gesù, la Sua “compagnia”, magari non riconosciuta, lungo la strada (cfr. punto 1.3); è la Sua Parola che diventa codice della vita (cfr. punto 1.4); è il pane spezzato, vertice di ogni presenza e sorgente di ogni missione (cfr. punto 1.5).

È dunque la fedeltà umile e tenace di quella presenza, è l’intensità personale ed ecclesiale dell’incontro con Lui che ci accende il cuore.

          Ecco perché, in mezzo alle crescenti difficoltà del tempo, che ci fanno sentire impari, noi non ripieghiamo in difesa, ma accogliendo la sfida di Gesù, riecheggiata dal Papa “duc in altum!” vogliamo, nelle nostre Parrocchie, intraprendere il cammino della Comunione e della Missione.

Non siamo spavaldi, non siamo certo eroi, ma credenti sì, discepoli sì, per questo abbiamo una incoercibile risorsa: il cuore che brucia!

Il cuore che brucia è ciò che uno si ritrova ad essere dopo aver incontrato ed accolto il Signore. Certo un peccatore, ma un peccatore che crede e che ama! Sembra quasi una contraddizione eppure è una bellissima esperienza quella di poterGli dire: “io ti credo, io ti voglio bene!” come lo dice un peccatore. Con umiltà e abbandono. Come Pietro sulle sponde del lago (cfr. Gv. 21, 15-19).

Ecco qual è la risorsa per la missione, per la nuova evangelizzazione in questo inizio di terzo millennio spazzato dal vento della secolarizzazione, in questa nostra terra Volterrana spazzata dal vento della scristianizzazione.

Il cuore che brucia è un fuoco più forte del gelo che c’è fuori, è un calore che vince la voce persuasiva della mediocrità e della tiepidezza che si affacciano dentro, è la sorgente di quella vita nuova e “normale” che è la santità.

È il cuore che brucia ciò che veramente ci occorre e ci soccorre sulla strada della Missione.

 

2 La visita di Dio

 

Nella prima parte della Lettera ho percorso il testo di Luca sui discepoli di Emmaus, riconoscendolo come icona biblica di quell’evento ecclesiale che è la Visita Pastorale.

In questa particolare “Visita di Dio” ai due discepoli che si allontanavano da Gerusalemme in un’ora crepuscolare, segnata dalla delusione e della fatica, abbiamo riconosciuto, in positivo ed in negativo, tratti caratteristici dell’essere Cristiani oggi, elementi che segnano anche la nostra situazione diocesana e la vicenda delle nostre Parrocchie. Attraverso il testo di Luca, abbiamo così ricevuto un “alfabeto” per leggere la nostra situazione ecclesiale e la nostra vicenda personale. Il Signore, per così dire, ci ha identificato, ci ha fatto incontrare il nostro volto nella luce della Sua Parola.

Vorrei ora, in questa seconda parte della Lettera, cercare di delineare alcune caratteristiche della Visita di Dio al suo popolo, come si colgono dai testi biblici. È un passo ulteriore per capire cosa è la Visita Pastorale del Vescovo alla sua Chiesa e per accorgerci di come essa sia un dono, non solo di conoscenza, ma anche di conversione e di crescita.

Cogliendo alcune caratteristiche della Visita di Dio al suo popolo, riusciremo a ravvisare quegli obiettivi pastorali e spirituali che sono il frutto più prezioso e più duraturo della Visita Pastorale.

 

2.1 Un evento di consolazione

 

“grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio per cui verrà a visitarci dall’alto…”(Lc. 1, 78).

 

Desidero che la caratteristica della Visita Pastorale non sia quella del controllo, dell’appesantimento di impegni o servizi, dell’afflizione, ma quella della consolazione.

          La Visita del Signore al suo popolo è sempre, radicalmente, un evento di amore e di misericordia. Egli è un “Dio di pace e non di afflizione” e la Sua venuta è per dare consolazione, coraggio, apertura al futuro nella speranza: “Coraggio Sion, non lasciarti cadere le braccia: il Signore è in mezzo a te un Salvatore potente!”(Sof. 3, 17).

Vorrei che anche la Visita del Vescovo nelle Parrocchie riuscisse a generare un clima di consolazione, di reciproco conforto, di fiduciosa apertura verso il futuro. Oltretutto è in questo clima ecclesiale che si riesce a guardare con misericordia anche ai nostri limiti, a generare decisioni di recupero e di superamento, a sollecitare generosità di impegno da parte delle persone.

 

2.2 Un evento di fedeltà

 

“Verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge”(Lc. 1, 78).

 

Il quotidiano ritorno del sole che segna l’inizio del nuovo giorno è, nell’ordine creaturale, l’evento più certo ed affidabile. Anche la Visita del Signore nei confronti del suo popolo dice una fedeltà che non deflette, una capacità da parte di Dio nell’aderire alla nostra situazione, nell’accompagnare le nostre vicende, che diventa motivo di affidamento e di sicurezza per noi.

In questa linea, la presenza del Vescovo vuol comunicare alle Parrocchie la fiducia che il loro cammino non è abbandonato, né circondato da disinteresse e indifferenza. Attraverso la figura del Vescovo è tutta la Chiesa di Volterra che guarda ed accompagna il cammino di ciascuna Comunità; è il Signore stesso che fedelmente cammina con noi; è l’intera Diocesi che si compagina e percorre la strada del discepolato e della missione.

Ma “il sole che sorge”, metafora dell’agire di Dio, è anche sorgente di luce e di calore, trae le cose dal buio indistinto della notte, conferisce intelligibilità e suscita nuove possibilità di vita. In questa linea, la Visita Pastorale costituisce per le nostre Parrocchie una positiva occasione di “fare il punto” della situazione, di mettere a fuoco la propria vicenda pastorale, calibrando meglio, all’occorrenza, obiettivi e metodi, ma anche riconoscendo ed individuando nuove disponibilità e risorse per l’ordinarietà del proprio cammino.

In questo senso è importante che la stessa preparazione alla Visita, anche per quanto riguarda la compilazione dei questionari pastorali ed amministrativi, coinvolga il più possibile la Comunità, almeno nei suoi organismi di partecipazione e di comunione.

 

2.3. Occasione di crescita nella fede

 

“Un grande profeta è sorto tra noi, Dio ha visitato il suo popolo” (Lc. 7, 16).

 

La Visita di Dio, segnatamente nella persona di Gesù, è sempre un incontro che apre gli occhi del cuore, trae dalla freddezza dell’indifferenza o dalla morte della lontananza ed accende l’adesione della fede che ama.

Penso che la Visita Pastorale sia solo una grande vicenda burocratica se non riesce a riscaldare il cuore delle nostre Comunità ed accendere l’adesione di fede al Signore Gesù. Per questo è importante che sia preparata e vissuta in un intenso clima di preghiera, affinché riesca a raggiungere l’obiettivo di una stabile crescita della Comunità Cristiana nella fede e nell’amore al Signore.

Ritengo che il frutto spirituale più alto e più decisivo della Visita Pastorale sia una Comunità Cristiana che può dire con verità al Signore: “Tu lo sai che ti voglio bene!” (Gv. 21, 15).

 

2.4 Il dono dell’accoglienza e dell’appartenenza

 

“A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv. 1, 13).

 

L’esperienza della Visita di Dio nella Bibbia mai si esaurisce in una vicenda individualistica, anche se ha centralmente una dimensione personale. La Visita di Dio volge alla storia, spinge la persona o il popolo verso l’esperienza dell’accoglienza e dell’appartenenza.

Queste due dimensioni oggi sono spesso sentite o vissute come in tensione tra loro, quasi che l’appartenenza segnasse il limite dell’apertura e dell’accoglienza.

Credo che la Visita Pastorale debba da un lato rafforzare la coscienza e l’esperienza del nostro essere Chiesa, dell’appartenere ad un popolo e ad una Comunità identificata e identificante. In una stagione di appartenenze molteplici e spesso deboli o provvisorie, l’esperienza della Visita deve rimarcare la gioia e l’orgoglio di una appartenenza che ci fa liberi.

D’altro lato marcare l’appartenenza è funzionale all’accoglienza: il non accogliere, il difendersi, il temere l’apertura, il dialogo e l’incontro è caratteristico di una Chiesa debole, demotivata, annebbiata nella identità e nei contenuti.

Perciò se la Visita Pastorale chiamerà fortemente all’appartenenza, certo non si stancherà di spingere all’incontro ed all’accoglienza verso i Cristiani marginali, verso i lontani, verso quanti hanno comunque titolo e bisogno di incontrare la testimonianza della fede ed il gesto della carità.

 

2.5 Evidenzia cecità e freddezze

 

“Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi… perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Lc. 19, 42-44).

 

Il pianto di Gesù su Gerusalemme evidenzia drammaticamente come la Visita di Dio ha, per così dire, una sua “spietatezza” che appartiene comunque alle esigenze totalizzanti e persuasive dell’amore. L’incontro con il Signore è sempre un dono di verità per la persona e la Comunità. Al di là delle immagini accomodanti e soddisfacenti che sempre siamo tentati di crearci, la Visita di Dio apre impietosamente la porta sulla verità e ci riconsegna con amore a ciò che veramente siamo e possiamo.

La Visita Pastorale può essere un’occasione di verità per le nostre Parrocchie: il riconoscimento di cecità, di trascuratezze, di colpevoli inadeguatezze, di delusioni che hanno amareggiato e dissuaso. Un’occasione di verità, ma di una verità amica, data non per crocifiggere e paralizzare, ma per sollecitare e persuadere.

 

2.6 Guarisce il cuore ferito

 

“Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città… si rannicchiò piangendo ai piedi di Lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato… E Gesù disse alla donna: ti sono perdonati i tuoi peccati… la tua fede ti ha salvata, va’ in pace” (Lc. 7, 36-50).

 

L’episodio, intenso e tenero, che Luca ci narra, evidenzia come la Visita di Dio alla persona raggiunge la profondità della vita, tocca l’uomo fino alla sua radice, e soprattutto ne sana il cuore ferito, attraverso il gesto dell’accoglienza e del perdono.

Non dovremmo dimenticare che la Chiesa e le nostre Parrocchie sono, prima di tutto, un evento di misericordia: un dono di gratuità e di pietà diffuso capillarmente in mezzo alla vita per sanare il cuore ferito della gente.

La Visita Pastorale deve servire fortemente a questo: a riconsegnare la Parrocchia alla coscienza della propria identità e missione. Non prima di tutto una organizzazione, non centro produttivo di pastorale, ma un evento di misericordia dentro la vita. Ogni Parrocchia deve ritrovarsi e riconoscersi come luogo di perdono e di riconciliazione, come una casa di pace che Dio viene costruendo dentro le convivenze e gli agglomerati, talora violenti e spesso indifferenti, delle nostre città e civiltà.

Per una Comunità Cristiana riconoscersi come luogo di misericordia, come spazio in cui Dio sana il cuore ferito dell’uomo, vuol dire affermare e praticare il primato dello Spirito, volgersi soprattutto alla dimensione spirituale ed interiore della persona, pensare e programmare ogni gesto ed ogni iniziativa in funzione del cuore ferito e della sua sanazione.

In particolare la Visita Pastorale dovrà essere un richiamo forte perché le Parrocchie sappiano mettere la persona al centro, presentarsi come casa che accoglie, far sentire ciascuno atteso, apprezzato, amato: come fa Dio!

La Visita dovrà aiutare la Parrocchia a riconoscere le ferite del cuore che, con gesto di misericordia, è inviata a curare: penso particolarmente alla solitudine profonda di tanta gente pur in mezzo al chiasso della folla; penso alla disperazione di certe persone che non riescono più a trovare il “filo rosso” del senso e della speranza nella loro vita: disperazioni mute o gridate, lucide o stravolte, poco importa; penso alla mediocrità come ferita del cuore non avvertita e non riconosciuta che ci condanna all’aridità, all’insignificanza personale ed ecclesiale, all’egoismo compiaciuto ed esibito; penso soprattutto al peccato come ferita del cuore, tanto più diffuso, aggravato e devastante quanto più ignorato o snobbato da certa cultura, o magari banalizzato da una teologia beota e da una pastorale facilona.

 

2.7 Accende il desiderio dell’ultimo incontro

 

“A mezzanotte si levò un grido: ecco lo sposo, andategli incontro” (Mt. 25, 6).

 

Le Visite di Dio al suo popolo nel percorso della storia salvifica non sono episodi occasionali o sconnessi, ma si raccordano secondo una progressività che trova nella venuta di Gesù il suo centro e nel ritorno glorioso alla fine dei tempi il suo compimento. In certo senso ogni Visita di Dio accresce la luce ed intensifica la presenza, ma al tempo stesso acuisce l’attesa e volge a quel “di più” che sarà il compimento nell’ultimo incontro.

Credo che quella “revisione di vita” che la Visita Pastorale determina nelle Comunità Cristiane debba servire a farci riscoprire che siamo cittadini di un’altra città e guardiamo ai cieli come nostra patria. Questa attesa e questa proiezione del cammino verso l’ultimo incontro con il Signore, troppo si sta annebbiando nella nostra percezione di fede. Sulla strada di questa dimenticanza o di questo silenzio finiamo irrimediabilmente per diventare un’agenzia etica, umanitaria o culturale, non più la Chiesa, segno del Regno di Dio che viene.

Non è pensabile una timidezza delle nostre Chiese nell’annunciare Gesù Cristo come destino finale dell’uomo e del creato, non è tollerabile che, dopo aver ampiamente e talora chiassosamente parlato di ogni cosa, ci facciamo guardinghi e flebili nel pronunciare la parola “Paradiso”. Se le nostre Parrocchie sono parche nel donare questa speranza, se sono timide o generiche nel dispiegare questo decisivo orizzonte della vita, allora noi siamo presenze oziose ed insignificanti dentro la grande vicenda della storia: “se abbiamo speranza in Cristo solo per la vita presente, allora siamo i più miserabili di tutti gli uomini” (I Cor. 15, 19).

Un giorno, nell’ultimo incontro, il Signore ci chiederà, come ai Dodici in Cafarnao: “di che cosa avete parlato lungo la strada?” (Mc. 9, 33): se dopo tanti salotti con i sapienti ed i potenti del mondo, noi avessimo taciuto nel raccontare il Paradiso al cuore della gente, soprattutto dei “piccoli” secondo il Vangelo, credo che dovremmo misurare il nostro fallimento insieme alla delusione di Dio.

Questo fare memoria del Paradiso “lungo la strada”, cioè dentro la vita, è davvero un annuncio nel senso più compiuto: è certamente un dire, ma insieme anche un vivere ed un fare. Si annuncia il Paradiso parlandone alle persone, ma pure crescendo insieme nell’umanità, nella speranza, nella giustizia e nella misericordia. Si annuncia il Paradiso umanizzando la vita di una città e di una società; diventando Comunità Cristiane dove, pur con fatica, vige la gioia che nasce dall’amore; si annuncia il Paradiso quando personalmente si cammina nella via di Nazareth: piccole cose fatte con grande amore. La santità è la memoria del Paradiso sulla terra!

 

Queste mi sembrano alcune permanenti caratteristiche della Visita di Dio al suo popolo, colta in quella memoria fondativa del Suo agire e del nostro credere che è la Bibbia.

Su questo le nostre Parrocchie faranno bene a riflettere ed a confrontarsi per cogliere e vivere in profondità quel dono che, attraverso la Vista Pastorale, il Signore depone nella loro vita.

 

3 La Visita Pastorale alla Chiesa di Volterra

 

Ma è tempo ormai di addentrarci più da vicino nella presentazione e nella descrizione di questa Visita Pastorale alle Parrocchie della nostra Diocesi, la prima da quando sono stato chiamato a diventare Pastore di questa Chiesa.

Lo faccio ora, dopo il lungo percorso di riflessione sull’episodio di Emmaus e sull’esperienza della Visita di Dio nella Bibbia, perché desidero che il gesto che stiamo per compiere custodisca integra la sua ricchezza spirituale e non si spenga in un adempimento burocratico o in un semplice “episodio” nella vicenda pastorale di ciascuna Parrocchia.

 

3.1 Gli obiettivi

 

3.1.1 Certamente un primo obiettivo che la Visita si propone è quello della conoscenza e del discernimento.

          Si tratta anzitutto della conoscenza più adeguata, ravvicinata ed organica che il Vescovo avrà della Diocesi, delle singole Parrocchie, delle Comunità Religiose, di Associazioni e Movimenti. Una conoscenza che permetterà un migliore discernimento delle situazioni e delle persone in ordine al servizio di guida e di governo. Ma sarà una migliore conoscenza anche delle situazioni culturali e di ambiente in cui le Comunità Cristiane si trovano a vivere ed a testimoniare la loro fede.

Inoltre l’occasione della Visita, come più volte ho rilevato, costituirà una positiva risorsa per le Parrocchie stesse al fine di meglio conoscersi, valutare la propria situazione ed il proprio lavoro, assumere quelle decisioni che più risulteranno opportune.

 

3.1.2 Un secondo obiettivo della Visita è quello di recare conforto, incoraggiamento e speranza alle nostre Comunità Parrocchiali (cfr. punto 2.1). Esse sono spesso segnate dall’esperienza della fatica e dello scoraggiamento, come il cammino di Elia verso l’Oreb (cfr. I Re 19, 4), ed hanno bisogno di nuova forza e di maggior radicamento nei motivi della speranza.

La Visita non può essere un’ulteriore causa di afflizione, il repertorio dolente delle inadeguatezze o delle sconfitte. Occorre che sia l’occasione per meglio focalizzare le priorità, per gerarchizzare impegni, servizi ed obiettivi, eventualmente lasciando ad altro tempo ciò che è secondario o non commisurato oggi alle nostre possibilità.

Occorre anche che la Visita sappia individuare nuove risorse per il cammino della Comunità, ove siano presenti, e dare nuova forza di convinzione e generosità a quelle che già vi sono.

 

3.1.3 Un terzo obiettivo della Visita è quello di rafforzare la Parrocchia come evento di Comunione e di Missione presente sul territorio, dentro l’intreccio di vita della gente (cfr. punto 1. 6). Veniamo da recenti vicende di riflessione teologica e di dibattito pastorale che sembravano porre sotto pesante ipoteca la validità della Parrocchia. La Chiesa in Italia, anche attraverso la nota pastorale dell’Episcopato “Il volto missionario della Parrocchia in un mondo che cambia”, torna ad indicare nella Parrocchia la possibilità di base perché quella Italiana sia e rimanga veramente e diffusamente “Cattolica”, capace di accogliere il diritto al Vangelo di ogni persona. Occorre dunque dare nuova certezza e spessore alla realtà della Parrocchia, meglio rafforzandola e specificandola nelle sue capacità di comunione, di formazione, di missione.

Occorre indicare ed avviare forme di integrazione pastorale tra Parrocchie diverse, come pure coordinare la preziosa presenza di Religiosi e Religiose, la vicenda di Associazioni e Movimenti con l’insostituibile cammino di base della Comunità Parrocchiale.

Occorre spingere ciascuna Parrocchia a intendere e vivere se stessa come uno “spazio aperto”, che non presume di costringere o picchettare la vita della gente secondo geometrie di appartenenza ormai strette o anacronistiche. Vorrei dire, figurativamente, che i “confini” devono essere intesi e vissuti come ponti, come possibilità di ulteriore comunione più che come invisibili muri di appartenenza o di competenza. In questo molto può fare ed aiutare la comunione e la cordiale collaborazione tra Sacerdoti vicini.

Proprio in ordine al cammino ordinario della Parrocchia e della Diocesi, la Visita Pastorale non intende aggravare od aggiungere ulteriori impegni ed obiettivi. Essa piuttosto incontra, verifica ed accompagna l’ordinaria vicenda pastorale che in ogni Parrocchia si svolge, in attuazione del piano pastorale decennale e dei programmi pastorali che lo specificano.

Per questo, negli obiettivi della visita che continueremo ad elencare senza troppo dilungarci, ritroveremo le proposte fatte alle Parrocchie ed alla Diocesi dal piano e dai programmi pastorali di questi anni: la Visita Pastorale è un prendere fraternamente per mano ciascuna Parrocchia, ricostruendole dentro la fiducia e la speranza nel proprio servizio, aiutandola a crescere attorno alla Parola ed all’Eucarestia, nella gioia della Comunione e nello slancio della Missione.

 

3.1.4 Cercherò perciò di verificare con voi come stanno procedendo i “Gruppi di Ascolto della Parola” costituiti presso le famiglie della Parrocchia. Essi sono luogo di evangelizzazione dei Cristiani e di primo o rinnovato annuncio per coloro che si sono allontanati o non sono mai stati credenti.

Cercheremo insieme la possibilità di costituirli, di rafforzarli, di renderli più incisivi e persuasivi nel metodo e nei contenuti. Cercheremo anche di aiutare e sostenere nella formazione quei laici che ne sono animatori e guide.

 

3.1.5 Altro punto di verifica consiste nel servizio di formazione catechetica che esprimiamo dentro la Comunità Cristiana. Tutti conosciamo e quotidianamente incontriamo l’esperienza di famiglie che non chiedono più il Battesimo per i figli, ragazzi che non accedono al Sacramento della Cresima, oppure che disertano la Messa Domenicale anche durante il periodo di preparazione e, dopo aver ricevuto la Confermazione, spariscono dalla vita della Chiesa. Contemporaneamente abbiamo sempre più spesso a che fare con dei “ricomincianti”: persone che chiedono da adulti il Sacramento della Cresima o altri Sacramenti, dopo l’abbandono della vita Cristiana, oppure con persone che per la prima volta si affacciano alla fede.

Occorre che proponiamo itinerari catecumenali differenziati, preoccupati non solo di “iniziare ai Sacramenti”, ma di “iniziare alla vita Cristiana” attraverso i Sacramenti. Una catechesi catecumenale che non sia soltanto un conoscere i contenuti della fede, ma un celebrarli nell’assemblea liturgica ed un viverli nella testimonianza della vita. In tale itinerario catecumenale, soprattutto per i fanciulli, è coinvolta la responsabilità originaria della famiglia nella trasmissione della fede, che viene perciò chiamata a percorrere, in sintonia con il figlio, un proprio itinerario di crescita.

So quanto questa impostazione catecumenale della catechesi cambi la nostra prassi parrocchiale, certamente generosa, ma spesso anche ripetitiva e sommaria; so quale impegno di formazione e di servizio richieda alla Diocesi ed alle Parrocchie la formazione di una mentalità nuova nei Sacerdoti, nei Catechisti ed in tutta la Comunità. Tuttavia il cammino della Chiesa Italiana e della nostra Diocesi è ben netto e ad esso intendiamo incoraggiarci, prepararci e volgerci.

 

3.1.6 Sempre nella linea della formazione, cui ho riconosciuto il primato fin dalla mia prima Lettera Pastorale (cfr.”Il Seminatore uscì a seminare” punto 1), ribadito poi nei programmi successivi, la Visita dovrà verificare ed incoraggiare l’impegno alla formazione e promozione del laicato, in modo da aiutare e sostenere i laici nel loro compito di vivere il Vangelo dentro la famiglia, la professione, l’impegno culturale e socio-politico, il volontariato, il tempo libero. Accanto a questo, l’attenzione deve essere posta sul servizio che la presenza dei laici offre alla vita della Comunità Cristiana, per cui la richiesta e la necessità della formazione si fa ancora più urgente e qualificata.

In questa verifica la Parrocchia non può essere considerata da sola, ma in una visione integrata con le altre Parrocchie, il Vicariato, la Diocesi.

Occorrerà anche verificare ed incoraggiare il servizio alla formazione proprio delle Aggregazioni Laicali, con particolare riferimento ed attenzione verso la proposta dell’Azione Cattolica. Essa costituisce una risorsa preziosa ed un servizio insostituibile, nella nostra Diocesi, alla formazione e promozione del laicato: sulle sue proposte, sulla necessità di una sua più diffusa presenza continuerò a richiamare e sollecitare l’attenzione delle Parrocchie.

Nell’ambito della formazione del laicato, in ogni Parrocchia, cercherò di capire cosa si sta facendo e cosa realisticamente si potrebbe fare per essere più vicini, come Comunità Cristiana, alla vita delle famiglie e dei giovani.

          La pastorale familiare e quella giovanile costituiscono infatti due obiettivi specifici che ci siamo prefissati nell’ambito del decennio 2000-2010. Su di essi occorrerà che la nostra Chiesa Volterrana distintamente sosti in un convegno pastorale.

Tutti rileviamo l’acutezza e l’urgenza di attese e di sfide che questi due momenti ed ambiti lanciano alla nostra Chiesa, anche con riferimento all’effetto devastante che in essi determina gran parte della cultura contemporanea e del costume sociale.

Qualcosa di valido si è iniziato a fare, almeno a livello diocesano; occorre capire quanto e cosa stanno facendo le Parrocchie e le Associazioni, come possono essere aiutate a fare meglio ed a fare insieme.

 

3.1.7 La vita della Parrocchia ha il suo centro e la sua fonte nella Celebrazione Eucaristica e nel giorno del Signore. Da lì la Comunione: il corpo è dato per noi; da lì la Missione: il sangue è versato per noi e per tutti.

Occorre perciò che la Visita Pastorale sosti accuratamente su questo “vertice” della vita ecclesiale (cfr. punto 1.5).

Dovremo insieme esaminare e promuovere la “qualità” della Celebrazione Eucaristica. Provvedendo ad un numero sufficiente di Messe (senza però incoraggiare eccessive pretese di comodità, né la riduzione di ogni forma di culto alla celebrazione della Messa), dovremo preoccuparci soprattutto che esse costituiscano un momento significativo di esperienza personale per coloro che vi partecipano. Esperienza di incontro con il Signore nel dono della Parola e del Pane spezzato; esperienza dell’incontro fraterno nel segno dell’assemblea, dei diversi ministeri e servizi che attorno all’Eucarestia si esprimono, della preghiera e del canto comune; esperienza di conversione per un nuovo e più evangelico approccio alla vita di ogni giorno, sulla strada della testimonianza e della missione nello stile “nazarethano”.

Verificare con ogni Comunità Cristiana la centralità e la decisività della Celebrazione Eucaristica nel giorno del Signore significa anche curare il servizio Sacramentale della Riconciliazione, in modo che i fedeli abbiano occasioni frequenti e tempi sufficienti e certi per accedere a questo Sacramento, possibilmente non in concomitanza con la Celebrazione Eucaristica. In questo può essere di grande aiuto la concertazione di orari e la reciproca disponibilità tra Sacerdoti e Parrocchie.

Ma l’attenzione all’Eucaristia, come sorgente e culmine di tutta la vita spirituale della Comunità Cristiana, ci rimanda anche a chiederci se e come siamo capaci di educare alla preghiera, in particolare all’adorazione eucaristica, di offrire occasioni per il silenzio e la riflessione, di guidare coraggiosamente e tenacemente le persone all’ascolto ed al dialogo con il Signore.

 

3.1.8 Nella luce del Sacramento Eucaristico “Mysterium pietatis, signum unitatis, vinculum charitatis”, il Vescovo, nella Visita Pastorale, dovrà adoperarsi e spendersi per intensificare il dialogo e la comunione con i Sacerdoti e tra i Sacerdoti. Il vincolo di carità che ci lega deve essere esemplare per il popolo di Dio, avendo a suo specifico fondamento l’Ordine Sacro che ci fa ministerialmente partecipi del Sacerdozio di Cristo e ci consacra al servizio della Chiesa.

La Visita Pastorale deve perciò costituire una preziosa occasione di personale dialogo tra ogni Sacerdote ed il Vescovo, allo scopo di accrescere la conoscenza, la comunione, la stima reciproca e la comune obbedienza al Vangelo del Signore ed alle attese della Chiesa.

Ma essa deve costituire un’occasione anche per ritessere il vincolo di comunione presbiterale nel Vicariato e nel Presbiterio, in modo da rigenerare rapporti logori o sfilacciati, superare indifferenze o diffidenze, ricostruire la piena comunione tra Sacerdoti nella verità e nella carità, sotto il segno del perdono e della misericordia, di cui siamo ministri gli uni per gli altri e per l’intero popolo di Dio.

 

3.1.9 Necessaria fruttificazione dell’ascolto della Parola e della Celebrazione Eucaristica è l’irradiarsi del dono e del servizio verso le persone più bisognose, che incontriamo nel nostro territorio o che sono comunque compagne a noi di storia e di strada. Per questo la Visita Pastorale cercherà di incoraggiare la presenza ed il servizio della Caritas in ogni Parrocchia e Vicariato: non come gruppo che sostituisce o surroga la Comunità, ma come persone che animano, promuovono, sollecitano e coordinano l’impegno sociale e caritativo dell’intera Comunità Parrocchiale, anche raccordandolo con analogo impegno della società civile e mantenendo aperto il dialogo e la collaborazione con gli altri soggetti sociali presenti sul territorio.

 

3.1.10 Nel compimento della Visita Pastorale sarà mia premura incontrare il Consiglio Pastorale Vicariale e Parrocchiale, unitamente al Consiglio per gli Affari Economici. A più riprese ed in tempi diversi ho insistito sulla necessità che le singole Parrocchie (o Unità Pastorali) fossero dotate di questi organismi di comunione e di partecipazione. Ad essi è forse legata una qualche fatica nel maturare scelte ed orientamenti comuni, ma è soprattutto legata la realizzazione di una ecclesiologia conciliare e di una effettiva presenza del laicato nel momento analitico e decisionale delle nostre Parrocchie. Questo mi determina a chiederne la presenza ed il valido funzionamento.

Le linee di Statuto e di Regolamento che il Consiglio Pastorale Diocesano ha recentemente espresso, unite al significativo “preambolo” teologico e pastorale che le accompagna, rappresentano per ogni Parrocchia e Vicariato un aiuto valido ed un fraterno incitamento a costituire ed a fare effettivamente funzionare questi organismi.

 

3.1.11 Infine la Visita Pastorale non può ignorare anche gli aspetti economici, patrimoniali, fiscali ed organizzativi di ogni Parrocchia.

          Delegherò il più possibile questi aspetti a dei convisitatori che abbiano conoscenza ed esperienza, riservandomi poi di valutare ed assumere le indicazioni che, caso per caso, mi offriranno.

Tratterò invece direttamente con i Sacerdoti ed i Consigli Pastorali interessati eventuali problemi di confini tra Parrocchie, tra i Vicariati, come pure la possibilità di sopprimere giuridicamente alcune Parrocchie che ormai sono poco più che nominali.

 

Dopo aver precisato gli obiettivi che la Visita Pastorale intende raggiungere e gli aspetti di vita ecclesiale che intende verificare e sostenere, passo brevemente a descrivere lo svolgersi della Visita stessa, nella sua preparazione, nell’attuazione e nel proseguo che dovrà avere nella vita della Comunità, dopo che essa si sarà compiuta.

Questa ultima parte della Lettera sarà perciò poco più che elencativa, dal momento che richiama aspetti già argomentati nelle pagine precedenti, limitandoci qui a collocarli nello svolgimento della Visita.

 

3.2 La preparazione

 

Quando abbiamo parlato della Visita Pastorale negli organismi diocesani, è stata unanime la raccomandazione che essa non si esaurisse in un adempimento di controllo o celebrativo, ma costituisse un autentico evento di vita ecclesiale e di crescita spirituale.

Devo dire che questo molto dipende da come la Visita verrà presentata e preparata nei Vicariati e nelle Parrocchie, dallo spirito con cui si affronteranno gli adempimenti richiesti.

Rivolgo per questo uno speciale appello ai Sacerdoti, nelle cui mani è la riuscita di questo momento di vita ecclesiale, perché investano esemplarmente tempo ed energia, soprattutto speranza, nella preparazione e nell’attuazione di questo avvenimento, insieme alle loro Comunità.

In particolare:

  • pregare intensamente e frequentemente perché la Visita produca un risveglio di vita Cristiana nella Comunità e lo slancio sulla via della missione;
  • attuare le catechesi preparatorie proposte dagli Uffici Pastorali Diocesani, allo scopo di ben comprendere e vivere l’occasione della Visita Pastorale;
  • usare l’opportunità offerta dai “questionari” preparatori alla Visita, come momento di coinvolgimento ampio, per approdare ad una conoscenza più adeguata, oggettiva e condivisa della propria situazione pastorale;
  • riscoprire la dimensione diocesana, soprattutto nella sua valenza sacramentale che giustifica e motiva quella più funzionale della Parrocchia. Questo è particolarmente urgente ed importante in una Diocesi “atomizzata” come la nostra;
  • nel quadro della Chiesa particolare, riscoprire la figura del Vescovo come segno di Cristo Pastore e servo dell’unità e della comunione. Insieme al ministero episcopale, riproporre l’identità ed il ruolo del Presbitero nella Parrocchia, nel contesto di una visione vocazionale della vita e ministeriale della Comunità;
  • valorizzare, in questo momento preparatorio, le possibilità di collaborazione interparrocchiale e vicariale allo scopo di rendere stabilmente più consistenti e significativi i legami di integrazione pastorale.

 

3.3. L’attuazione

 

La Visita avrà inizio e sarà promulgata con una celebrazione diocesana in Cattedrale, Domenica 26 Settembre, Festa di S.Lino Papa: ad essa saranno presenti i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose della Diocesi, i membri dei Consigli Pastorali e degli Affari Economici, gli Operatori Pastorali e quanti del popolo di Dio vorranno partecipare.     

Distinguiamo poi funzionalmente due momenti nella realizzazione della Visita che reciprocamente si integrano e si sostengono:

 

3.3.1 A livello vicariale

 

  • Il Vescovo apre la Visita Pastorale alle Parrocchie di ogni Vicariato attraverso una celebrazione a carattere vicariale.
  • Ha un colloquio personale con il Vicario di Zona.
  • Incontra il Consiglio Pastorale del Vicariato che gli fa una prima presentazione della situazione pastorale.
  • Partecipa ai ritiri e alle assemblee dei Sacerdoti durante tutto il periodo della Visita.
  • Esamina la distribuzione del Clero nel Vicariato e le possibili collaborazioni tra Sacerdoti, servendosi delle proposte presentate da un gruppo di lavoro costituito nel Consiglio Pastorale Vicariale.
  • Indica eventuali Unità Pastorali accogliendo i suggerimenti dello stesso organismo.
  • Riceve suggerimenti circa revisioni di confine di Parrocchie e di Vicariati, come pure sulla opportunità di abolire giuridicamente alcune Parrocchie.
  • Promuove il coordinamento delle Celebrazioni Eucaristiche, soprattutto festive, tra Parrocchie diverse, allo scopo di un migliore servizio per la popolazione e di uno scambio tra Sacerdoti per il Sacramento della Riconciliazione.
  • Incontra, se possibile, categorie di persone appartenenti al mondo del lavoro, della politica, del volontariato, della scuola, della cultura, dello sport, allo scopo di coinvolgere l’attenzione e promuovere la collaborazione tra la Comunità Cristiana presente sul territorio e la più ampia Comunità Civile.

 

3.3.2 A livello parrocchiale

 

Le indicazioni che qui vengono offerte devono ovviamente essere calate nella situazione concreta di ogni Parrocchia, in particolare di quelle più piccole, dove non è certamente possibile un’articolazione come quella indicata.

 

  • La Visita si apre con la celebrazione del Vescovo nella Parrocchia. Ogni Parrocchia, per quanto piccola, dovrà prevedere almeno questa presenza del Vescovo che celebra l’Eucarestia.
  • Il Vescovo incontra il Consiglio Pastorale Parrocchiale ed il Consiglio per gli Affari Economici che gli presentano il quadro della situazione della Parrocchia.
  • Il Vescovo incontra i collaboratori pastorali della Parrocchia, particolarmente i Catechisti, gli Animatori della Liturgia con i Ministri Straordinari della Comunione, il gruppo Caritas.
  • Incontra inoltre altri gruppi presenti in Parrocchia: prima tra tutti l’Azione Cattolica, gli Scouts, le A.C.L.I., la Misericordia, gruppi di Catechismo, post-Cresima, giovani e famiglie, ove esistono.
  • Incontra i “Gruppi di Ascolto della Parola di Dio” .
  • Visita quegli ammalati che il Parroco gli indicherà, insieme agli Ospedali e Case di Riposo eventualmente esistenti in Parrocchia.
  • Il Vescovo dedicherà un congruo periodo per ascoltare coloro che vorranno personalmente parlargli. Tale dialogo dovrà essere particolarmente ampio ed intenso con il Parroco.
  • Ove se ne veda la necessità, il Parroco curi che qualche membro del Consiglio Pastorale sia presente ad alcuni degli incontri suddetti, considerando che poi spetterà a tale organismo accogliere ed attuare le indicazioni che il Vescovo all’occorrenza potrà dare.
  • La Visita nella Parrocchia si concluderà con una Celebrazione, se il Parroco lo riterrà opportuno, altrimenti quella che è stata presentata come Celebrazione di inizio dovrà essere organizzata come la Celebrazione centrale, attorno alla quale si organizza e si struttura la Visita Pastorale.

 

3.4 La continuazione

 

Proprio perché la Visita Pastorale non vuole rimanere qualcosa di rapsodico, ma costituisce una forza ed una risorsa per la continuità del cammino, risulta particolarmente importante ciò che fa seguito alla Visita e che ha il compito di incanalare la straordinarietà del dono dentro i capillari dell’ordinarietà.

 

  • Il Vescovo, al termine della Visita, scriverà una Lettera ad ogni Comunità Parrocchiale, evidenziando positività, risorse e limiti. Non è un gesto disciplinare o sanzionatorio, ma di comunione, di incoraggiamento e di fiducia.

E’ di estrema importanza che le indicazioni del Vescovo non vengano lasciate cadere, ma siano assunte dal Parroco e dal Consiglio Pastorale, riflettute, elaborate in ordine all’attuazione.

Analogo gesto il Vescovo potrà compiere, se del caso, verso il Vicariato, avendo come interlocutori l’assemblea dei Sacerdoti interessati con il Vicario di Zona ed il Consiglio Pastorale Vicariale.

  • Le indicazioni del Vescovo per la Parrocchia ed il Vicariato dovranno essere accolte con intelligenza e disponibilità, per essere mandate ad esecuzione. In questo modo la Visita Pastorale fruttifica nella crescita di una Comunità Cristiana e nel suo avanzamento sulla strada della Comunione della Missione.
  • Chiedo infine ad ogni Parrocchia che abbia ricevuto la Visita Pastorale di compiere un gesto straordinario, capace di dare nuova qualità e solidità alla vita ordinaria: indire la Missione.

Chiedo che ogni Parrocchia si accinga a vivere un tempo straordinario di missione, con l’obiettivo di dare nuova robustezza alla fede dei credenti, di raggiungere con modi e forme straordinarie l’ampio settore dei Cristiani marginali, per invitarli ad una nuova presa di contatto con i motivi della fede e la vita della Chiesa, di cercare occasioni e possibilità di dialogo con i non Cristiani ed i non credenti, allo scopo, se possibile, di un primo annuncio della fede.

Chiedo che in questa esperienza straordinaria di Missione siano presenti e coinvolte persone della Parrocchia insieme, eventualmente, a “missionari” che vengono dall’esterno. Questo allo scopo di creare una sinergia tra risorse interne e competenze esterne alla Parrocchia, ma soprattutto per far crescere, con la concretezza di un gesto, la consapevolezza, la disponibilità e la preparazione della Comunità Parrocchiale all’ordinario cammino missionario della propria vicenda pastorale.

 

CONCLUSIONE

 

Fratelli e sorelle della Diocesi di Volterra, grazie per la pazienza di cui avete dato prova perseverando fino al termine nella lettura di questa lunga Lettera.

Sono trascorsi quasi quattro anni da quando vi indirizzai la prima Lettera Pastorale: potevo dunque consentirmi una certa ampiezza nello scrivervi, senza mettere a troppo dura prova la vostra sopportazione.

Come avete notato, questa lettera non ha la specificità di una tematica, essendovi indirizzata nella occasione della mia prima Visita Pastorale alla Diocesi.

C’è però un tema che tutta la pervade e l’accompagna ed è “il volto della Chiesa” come esso si rivela e si consegna nell’incontro con il Signore, con la Sua Parola, con il Suo Pane.

E’ il volto di una Chiesa che faticosamente ma tenacemente vorremmo insieme contribuire a rendere luminoso ed amabile sulla strada della Comunione e della Missione.

Per questo ho inteso e presentato la Visita Pastorale come un accostarsi del Signore, attraverso l’opaco segno del Vescovo, alla nostra strada ed il Suo camminare con noi.

Forse qualche volta sarà sembrato che il mio giudizio sulla nostra Chiesa e sul nostro tempo sia stato pesante ed amaro.

Vorrei solo dirvi in queste ultime righe quanto io sia innamorato della Chiesa Volterrana e quanto la trovi bella e meritevole di una dedizione molto più grande di quella che voi ed io riusciamo a darle. E’ una Chiesa piccola di numeri, di risorse, di risultati, una Chiesa cui il Signore ha donato la difficile grandezza della fatica: ma proprio questa è lo scrigno austero che custodisce la preziosità e la tersità dell’amore.

Questi quattro anni di presenza in mezzo a voi mi hanno insegnato che alla Chiesa bisogna accostarsi con gli occhi ed il cuore di Cristo, dello sposo: sono quelli con cui Egli “vide una povera vedova che donava due spiccioli; allora disse: quella vedova, povera com’è, ha donato più di tutti gli altri” (Lc. 21, 1-4).

Ogni altro modo di guardare la nostra Chiesa, al di fuori di quello sguardo che è di misericordia e di nuzialità, corrode, deride, sciupa.

Vorrei accostarmi con questi occhi e con questo cuore ad ogni Parrocchia, a ciascuno di voi, nell’evento della Vista Pastorale.

Questa Lettera è nata nel Monastero di Valserena, tra il frinire aspro delle cicale ed il salmodiare dolce delle Monache; è nata nel Monastero di Valserena, accolta nel presepe della contemplazione ed avvolta nei poveri panni della preghiera Cristiana: è la Betlemme di ogni opera di Dio!

Affido questa mia prima Visita Pastorale alla preghiera delle Contemplative presenti nella nostra Diocesi, alla preghiera dei sofferenti, dei poveri, dei piccoli: sono gli avvocati più potenti presso il Signore.

Depongo i nostri progetti e le nostre attese per questa Visita nel cuore e nelle mani di Maria, perché Ella torni ad accendere l’ora di Emmaus sul nostro cammino, quando Lui in persona si accostò “… e camminava con loro”.

 

 

Volterra, 6 Agosto 2004, Festa della Trasfigurazione del Signore.

 

 

 

+ Mansueto Bianchi Vescovo

 

Volterra
06-08-2004