OMELIA DELLA MESSA CRISMALE 2003

16-04-2003

Volterra, 16 aprile 2003

 

OMELIA DELLA MESSA CRISMALE

 

Carissimi fratelli nel Sacerdozio,

sorelle e fratelli laici che partecipate a questa celebrazione:

torna ancora a comporsi l’unità del popolo di Dio, la sacramentalità di questa nostra Chiesa Volterrana, per la consacrazione dei Santi Oli nella Messa Crismale.

Ci siete voi, sorelle e fratelli laici, rivestiti del Sacerdozio regale di Cristo attraverso la consacrazione Battesimale e l’unzione Crismale.

Ci siamo noi, con l’imposizione delle mani resi partecipi del Sacerdozio Ministeriale di Cristo, nel suo triplice grado.

Tu, Diacono Alessandro, che significhi dentro la nostra Chiesa la persona ed il ministero di Gesù, fatto servo fino al dono della vita, per la redenzione della vita.

Voi, Presbiteri di questa Santa Chiesa di Volterra, chiamati e scelti con affetto di predilezione dall’unico Signore, per essere al servizio della Salvezza attraverso l’annuncio della Parola, il dono dei Sacramenti, la celebrazione dell’Eucaristia, mensa pasquale del nostro pellegrinaggio. E vorrei segnatamente ricordare quelli tra voi che festeggiano una ricorrenza giubilare di questo servizio umile e alto: Mons. Giulio Campinoti che ricorda il LX° di Ordinazione Sacerdotale e Don Naldo Vallesi che fa memoria dei 50 anni del suo Sacerdozio.

Noi, Vescovi della Chiesa, chiamati ad essere, pur con tanta inadeguatezza e fragilità, sacramenti personali di Cristo, unico Pastore e Vescovo delle anime nostre. Nella consapevolezza stupita e grata di tanto dono saluto Mons. Ovidio Lari, Vescovo Emerito di Aosta, figlio amato e stimato di questa Chiesa e di questa terra cui è tornato a donare le ricchezza della sua saggezza e della sua fede. Saluto Mons. Vasco Giuseppe Bertelli, Vescovo Emerito della nostra Volterra, che continua, in cordiale semplicità, una presenza ed un servizio generoso, apprezzato e fraterno.

Per noi tutti dunque, Chiesa del Signore pellegrina a Volterra, è risuonata la parola del profeta Isaia: “Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti” (Is. 61, 6).

E’ soprattutto a voi Presbiteri, a noi segnati dal dono del Sacerdozio ministeriale, che vorrei parlare.

Mi chiedo e vi chiedo: chi è un prete?

Nella luce della Parola che abbiamo ascoltato, dei gesti che stiamo compiendo, del segno che stasera, qui insieme, costituiamo, rispondo:

il prete è un conquistato da Cristo

un regalato alla Chiesa

per la vita del mondo.

1 – Sei un conquistato da Gesù: il prete è una persona che “brucia” perché si è accostato al roveto che arde e non si consuma, si è avvicinato cioè al cuore della Trinità aperto e reso possibile a noi nella persona di Gesù. Tu hai rivolto lo sguardo a Colui che hanno trafitto e ne sei rimasto attratto e conquistato per la vita.

Il prete ha un cuore che avvampa perché reso personale evidenza, davanti ai fratelli, dell’amore supremo: “non c’è amore più grande di questo: dare la vita…”.

L’imposizione delle mani che abbiamo ricevuto ci ha trasmesso lo Spirito del Signore che non è un ruolo, una funzione, un compito: è l’amore unitivo nel seno della Trinità, è l’amore come ardore, è l’inesausta sorgente della carità “fons vivus, ignis, caritas, et spiritalis unctio”. Siamo stati consacrati col fuoco, Dio ci ha seganti col sigillo dello Spirito, quasi marchiandoci a fuoco nell’anima, imprimendoci il carattere, perché noi fossimo, in vita e morte, imperdibilmente suoi. Per questo dicevo che il prete è un conquistato da Cristo, che il prete ha un cuore che avvampa.

Cosa è la povertà, la castità, l’obbedienza cui ci siamo impegnati e che tra poco rinnoveremo nelle promesse sacerdotali, se non il poter ripetere con la verità dei fatti, con l’evidenza della vita, la confessione d’amore, trepida e forte, di Pietro sulle sponde del lago: “Signore tu sai tutto, tu lo sai che ti voglio bene”.

Fratelli nel Sacerdozio, guardiamoci attorno, guardiamoci dentro: la grande maggioranza di noi non sono più giovani, non attraversano più la stagione delle illusioni e degli abbagli. La vita ci è trascorsa e ci sta trascorrendo tra le mani: che cosa ne abbiamo fatto, che cosa ne stiamo facendo della vita?

Noi sappiamo con solare certezza che essa ha un senso ed uno scopo solo, che essa è davvero “vita”, se è consumata nell’amore e nella fedeltà “a Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il Suo sangue ed ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il Suo Dio e Padre” come poco fa ci annunciava l’Apocalisse.

Non è per noi la vita spenta, ripiegata a compatire le nostre solitudini, a piangere sui nostri malanni; non è per noi la vita comoda, che può permettersi tempi, libertà, risorse che molti padri di famiglia non possono permettersi; non è per noi la vita grama, palesemente od occultamente rosa dal fascino dei soldi, per la futura felicità dei nipoti ed eredi. Ci appartiene invece la vita infuocata di chi brucia giorni ed energie per inseguire Colui che ti ha rapito il cuore: scrive S.Paolo “quello che per me poteva essere un guadagno l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto io considero una perdita di fronte a… Cristo Gesù mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo” (Ef. 3, 7 s.)

Ecco la vita infuocata, ecco il cuore che brucia!

Fratelli miei, lasciate che insieme ci poniamo un’altra domanda semplice ma pertinente ed anzi vitale per il nostro essere preti conquistati da Cristo: quanto tempo, quanta energia dedichiamo alla preghiera, alla sosta prolungata ed amante davanti al Tabernacolo?

Tutto parte dalla celebrazione dell’Eucaristia e della Liturgia delle Ore: questi sono certamente i pilastri della preghiera del prete, come pure l’espressione più alta della sua identità e del suo ministero nella Chiesa. Ma finiscono anch’essi per diventare professionalità, ritualità, freddo adempimento di dovere, se non sono accompagnati ed avvolti nel clima intenso e fervido della preghiera personale.

Il primo posto del prete è davanti al Tabernacolo, la forza di ogni cammino pastorale è nei ginocchi piegati, la persuasività di ogni parola detta è nel silenzio prolungato della meditazione e dell’adorazione.

Fratelli miei, è vero che abbiamo molto da fare, è vero che il prete oggi è strattonato e tirato da ogni parte, ma è anche vero che saremo una delusione per tutti, una tenebra per noi stessi, se non siamo resi sapidi dalla permanenza con Gesù, luminosi per aver sostato alla Sua ombra.

Senza questo tempo e questa qualità della preghiera personale un prete finisce, quando va bene, per “fare” il prete” senza più “essere” prete, perché si spegne il fuoco che continuamente genera calore di convinzione e di personale dedizione all’opera ministeriale.

Siamo dunque dei conquistati da Cristo e dei regalati alla Chiesa.

2 – Regalati alla Chiesa: questo dono si esprime nel servizio della Parola, dei Sacramenti, della vita pastorale.

Il Signore stesso, nella sinagoga di Nazaret, interpretava la Sua consacrazione come un dono, una dedizione ed un servizio al popolo dei poveri, al popolo di Dio “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione ed ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia da parte del Signore” (Lc. 4, 18 s.). Siamo dei regalati alla Chiesa.

Mi chiedo: come possiamo essere un regalo bello per questa nostra Chiesa di Volterra? Io credo che il modo migliore di essere dono è quello di sentire come un dono per noi la Chiesa a cui siamo consegnati. Saremo veramente donati alla Chiesa se guarderemo e sentiremo la Chiesa come qualcosa di bello che è donato a noi.

Fratelli miei, forse le difficoltà, le delusioni, il molto faticoso pescare nella notte senza prendere nulla, ci hanno domato il cuore e spento la gioia della prima ora. Io vorrei che non ci stancassimo mai di guardare a questa Chiesa di Volterra, alle nostre Parrocchie, come alla cosa più bella e più amata che Cristo ha e che ha consegnato a noi. Egli ci ha messo nelle mani ciò che più ha amato, ciò che Gli è costato sangue e per cui ha donato la vita: la Sua Chiesa.

Cerchiamo di guardarle sempre con questi occhi, con gli occhi innamorati di Cristo Sposo, le nostre Parrocchie e la nostra Diocesi. Anche se ci appaiono rugose e spente, anche se vestono il bigello della serva anziché il candore luminoso della sposa, sono proprio esse, queste concrete nostre Comunità, il frutto della Sua Redenzione, pagate con la Croce, lavate nel Sangue. Chiedono soltanto che noi preti le guardiamo con gli stessi occhi innamorati con cui le guarda Cristo. Sono gli stessi occhi con cui Gesù guarda noi e, mediocri come siamo, ci chiama amici, ci chiama fratelli, ci rende Suoi discepoli e ministri della Nuova Alleanza.

E’ questa Chiesa di Volterra, sono le nostre Parrocchie, che noi dobbiamo amare più di noi stessi, per amore di Gesù Cristo, fino a regalare loro la vita. E non nello slancio di un momento o nel picco dell’entusiasmo e dell’emozione, ma nel trascorre lento dei giorni, dinanzi a volti e vite che talora sembrano far di tutto per non meritare il nostro dono o per convincerci che esso è sprecato e stupido. Occorre amare la Chiesa anche quand’ Essa è troppo pesa e goffa per volare, anche quand’ Essa è tanto prosaica da spegnere ogni poesia. Occorre che tu La ami, che tu La serva, che tu spenda per Lei la vita, perché la Chiesa, sempre e comunque, vale più della tua vita: è valsa la vita di Cristo.

Ed è per questa Chiesa che il Signore ci ha raccolto stasera, per far scaturire in Lei la forza dei Sacramenti, per impreziosirla con l’unzione del Crisma e degli altri Santi Oli, per raccoglierla attorno alla mensa su cui continua a rendersi per Lei cibo e fratello nel tormentato cammino nel tempo.

Ecco cosa è un prete: un conquistato da Cristo, un regalato alla Chiesa, per la vita del mondo.

3 – E’ l’ultimo orizzonte del nostro ministero: la vita del mondo. E’ l’anelito missionario che tanto più deve accendersi quanto più il cammino del mondo sembra divaricarsi dalla strada del Vangelo.

Noi preti siamo per la vita del mondo quando non stiamo dinanzi al nostro tempo come degli impauriti, degli sconsolati o dei fuggitivi.

Noi preti siamo per la vita del mondo quando continuiamo a credere che il Dio del Vangelo è il Dio della Creazione e perciò ogni cuore ed ogni vita è predisposta ed in attesa dell’incontro con Cristo.

Noi preti siamo per la vita del mondo, proprio quando, per amore del mondo, non diventiamo mondo, ma custodiamo la nostra diversità e la nostra alterità per rimanere sale della terra e luce per il mondo.

Essere preti per la vita del mondo vuol dire stare serenamente ed umilmente in mezzo alla vicenda della gente con una vita santa.

Cari fratelli nel Sacerdozio, diciamocela con semplicità questa elementare verità: Dio è tanto bello ed ha la forza di trascinare il mondo, il Vangelo è tanto forte da parlare anche al cuore frastornato del nostro tempo. Occorre però che il mondo incontri quella bellezza e quella forza dentro la nostra vita. E’ la Santità la nostra risorsa, è la Santità la nostra risposta a Dio, è la santità il nostro dono al mondo. La Santità della nostra vita, la Santità di noi preti, anzitutto e soprattutto!

Ecco, preti, cioè conquistati da Cristo, regalati alla Chiesa per la vita del mondo.

Pellegrini verso questo nostro volto, in cammino verso questa nostra terra, anticipata quaggiù nell’olio fluente dei Sacramenti, diventiamo preghiera di lode, diventiamo Eucaristia dinanzi al Signore, per noi e per il mondo:

“A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il Suo sangue ed ha fatto di noi un regno di Sacerdoti per il Suo Dio e Padre, a Lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen”.