OMELIA DELLA MESSA CRISMALE 2005

23-03-2005
OMELIA DELLA MESSA CRISMALE

Cattedrale, 23 Marzo 2005

 

Benvenuti fratelli e sorelle laici, benvenuti fratelli nel Sacerdozio Ministeriale, benvenuti dalle diverse latitudini della Diocesi nell’abbraccio festoso di questo tempio, volto della Chiesa-madre che a sé ci chiama e ci stringe, attorno all’olio fluente germinato dalla durezza stenta dell’ulivo come la dolcezza della Grazia di Cristo che germina dall’arido legno della Croce.

Benvenuto segnatamente al Vescovo Ovidio, emerito di Aosta, figlio amato e venerato di questa Chiesa e di questa terra volterrana. Benvenuto al Vescovo Vasco Giuseppe, emerito della nostra Diocesi, presenza festosa e benedetta che, come sempre, cela sotto la felice battuta e la cordialità del tratto la tenerezza e l’intensità del legame che perdura con la sua Chiesa a con i suoi Sacerdoti e che quest’anno ricorda il XX anniversario dell’Ordinazione Episcopale. Benvenuto a te, Diacono Michele: tu ministri, oggi, la benedizione di quell’olio che, tra pochi giorni, consacrerà il tuo Sacerdozio.

Vescovo, Presbiteri, Diacono, Religiosi e fedeli laici benediciamo oggi quell’olio che sarà, nelle diverse comunità cristiane, materia dei Sacramenti che santificano il popolo di Dio. La Messa Crismale, nel cuore della Settimana Santa, quasi ai piedi della Croce e sulla soglia della Resurrezione, fa scaturire nella Chiesa i Sacramenti che sono la sorgente della nostra santificazione.

Così al centro della Messa Crismale, quasi sorgente dell’organismo sacramentale che è la Chiesa e dei Sacramenti che essa celebra, sta l’evento della Santità. La Messa Crismale è il memoriale della Santità. Della santità di Cristo, della Santità della Chiesa, della nostra personale Santità, dico soprattutto di noi preti che dell’organismo sacramentale siamo, per volontà e configurazione a Cristo, i necessari ministri.

La Santità di Cristo non è un qualsiasi attributo che Lo riguardi, comunque poco interessante per noi. Dire Santità nella Bibbia significa dire ciò che Dio è nella profondità del Suo personale mistero. Ciò per cui Dio è Dio, tanto diverso, inarrivabilmente “altro” rispetto a ciò che noi siamo e possiamo. Ma dire Santità nella Bibbia, soprattutto nell’evento di Gesù, significa dire che Dio si è reso possibile per noi, si è fatto dono senza misura, ha aperto la Sua vita ed il Suo cuore perché fossero nostra casa e patria.

Così i nostri piedi di pellegrini, feriti e sporchi, entrano nel tempio della gloria, la nostra veste lacera di figli prodighi che hanno lungamente sostato tra ghiande e porci, si accosta alla porpora del Re, la nostra vita sciupata dal peccato, ferita dal patire ed umiliata nel morire, si scopre abbracciata dall’eternità di Dio e colmata dalla gloria della dignità filiale: “ut sanetur sauciata dignitatis gloria” canta l’inno per la processione degli oli.

La Santità di Cristo è la vita della Trinità fatta dono per il mondo, è la gloria di Dio resa mendica sulle strade della terra nell’umanità del Figlio, è la sorgente dei Sacramenti, è la ragione d’essere della Chiesa, è il principio e la possibilità di ogni nostra santificazione. Perché la Santità di Cristo è il Dio Trinità che si china sulla creatura colpevole e ferita, la introduce nel proprio seno, come il discepolo amato che, nell’ultima sera, è nel seno del Figlio mentre il Figlio è nel seno del Padre (Gv. 1, 18). La Santità di Cristo è il Dio Trinità che rende lei, la creatura, motivo della propria felicità (ricordate: “c’è più gioia in cielo per un peccatore che si converte…”). E’ stupenda questa Santità di Dio che, in Cristo, compie il suo esodo verso la creatura e diventa la sua terra promessa; lascia ammutoliti questa kenosis dell’amore trinitario che, in Cristo, fa della creatura il Suo cielo. La creatura che diventa il cielo di Dio: questa è la Santità di Cristo!

Ma proprio perché memoriale della Santità di Cristo, la Messa Crismale è anche manifestazione ed appello alla Santità della Chiesa.

Carissimi fratelli Sacerdoti che con me celebrate questa Messa Crismale, lasciate che ve lo dica con tutta la forza di cui sono capace: amiamola la Chiesa! Amiamola con tutti noi stessi, serviamola con tutte le nostre forze, regaliamole la nostra vita. E non parlo della Chiesa in generale o come astrazione, parlo di questa nostra Chiesa di Volterra, delle sue Parrocchie, delle sue associazioni, dei suoi laici. Parlo di questa Chiesa di Volterra, di quella gente che noi conosciamo, che rare volte è la nostra gloria e più spesso è la nostra pena.

Fratelli miei, diciamocelo chiaramente: non abbiamo scampo perché noi siamo dei consegnati alla Santità di Dio, cioè gente che ha scelto di vendere la pelle al Suo amore. Fino al punto di votarci a Lui, anima e corpo, avere ed essere, nella povertà, nella obbedienza e nella castità. La Chiesa perciò diventa la nostra ricchezza, la nostra libertà, il nostro amore. Se non viviamo per lei fino all’ultimo giorno, se non la serviamo con tutte le nostre forze e con tutte le nostre risorse siamo delle vite sciupate, delle persone negate. Non si è Cristiani, ma neppure si diventa uomini se non si riesce ad amare qualcuno più di noi stessi: Dio e i fratelli, Cristo e la Sua Chiesa, perché riverbero primo della Sua Santità, prezzo del Suo sangue, sposa amata legata a Sé sul talamo della Croce.

Questa Messa Crismale, facendo scaturire la fonte dei Sacramenti, manifesta la Santità della Chiesa, la Santità della Sposa ed insieme torna a purificarla, a santificarla, a riconsegnarla senza ruga e senza macchia all’amore indefettibile dello Sposo.

Infine la Messa Crismale riconosce e chiama la nostra Santità, la Santità di noi preti.

Tra poco rinnoveremo le promesse sacerdotali e sarà nuovamente un ridirci ed un ridire il fuoco segreto della nostra esistenza, la fiamma che tutta l’illumina, la riscalda, l’accende: e sarà ancora una volta la Santità. La santità di noi preti. Ci sarà nuovamente chiesto se vogliamo unirci intimamente a Cristo, ci sarà nuovamente chiesto se vogliamo lasciarci guidare dall’amore dei nostri fratelli. Sono i due piedi su cui cammina la santità di un prete. Diventammo preti 10, 20, 50 o 60 anni fa (tu, Diacono Michele, lo diventerai tra 10 giorni) per il carattere che ci fu impresso e ci segnò per sempre, ma il cuore, la trama del nostro quotidiano deve diventare prete ogni giorno, generosamente, cocciutamente, umilmente, tornando a rifugiarci nel cuore di Cristo, a raccoglierci in quella nostra culla che è la piaga del Suo costato, a trarre da lì la forza rinnovata per amare la Chiesa e servirla fino al dono della vita.

La nostra Santità di preti vuol dire amore appassionato a Gesù Cristo, vuol dire essere, con Maria e come Maria, vite eucaristiche, vuol dire avere sete della Sua Parola, vuol dire guardare la gente e la Chiesa con gli occhi di Cristo, amarla col cuore di Cristo, vivere e morire per lei come ha fatto Cristo e come ci chiedono i Sacramenti che celebriamo.

Una vita di prete senza Santità è un grumo di frustrazioni, di rabbie, di sotterfugi, di mediocrità, un grumo vestito di nero, è un’umanità rinsecchita e spinosa, senza foglie né frutti che forse ha perduto persino il ricordo di possibili primavere.

L’olio fluente di questo giorno, quest’onda dolce e potente che uscendo dal costato di Cristo ci abbraccia, ci sommerge e ci ravviva, ci porti ancora la sete di Santità che dal seno della Trinità si riversa nel cuore della Chiesa ed accende la vita del prete, fino a farne un assetato di Cristo, un mendico di Dio presso la soglia di ogni vita.

E’ questa la nostra gloria che non si svilisce, è questa la nostra giovinezza che non appassisce, segnata nel giorno e nel gesto della Messa Crismale:

 

Sit haec dies festa nobis

               saeculorum saeculis

               sit sacrata digna laude

               nec senescat tempore. Amen.