OMELIA DELLA NOTTE DI NATALE 2005

24-12-2005
OMELIA DELLA NOTTE DI NATALE

Cattedrale, 24 Dicembre 2005

 
Non abbiate paura!
 

Benvenuti fratelli miei, bentornati fratelli e sorelle in questo spazio luminoso ed accogliente che è la nostra Cattedrale. Ci siamo lasciati alle spalle le case e le strade, i tracciati di vita quotidiana, spesso seganta da fatica e da pena, per entrare qui, in questa cuna secolare del popolo di Dio peregrinante in Volterra, in questo abbraccio di bellezza che è la nostra Cattedrale.

Abbiamo inteso l’annuncio evangelico che ci ha detto parole antiche e nuove, è tornato a raccontare il Natale con l’esile e limpida trama della narrazione evangelica, alle nostre orecchie frastornate e profanate, ai nostri cuori inariditi e feriti.

C’è un’espressione che sorprende in quell’annuncio di gioia che è la narrazione del Natale: è l’aprirsi del dialogo tra il cielo e la terra, segnato in quelle parole: “non abbiate paura!”. Rivolgendosi ai pastori che nella notte vegliavano sui greggi in aperta campagna, l’angelo dice: “non abbiate paura, ecco vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo”.

Ci appare quasi strano, ci sembra estraneo allo Spirito del Natale questo invito a non avere paura. Eppure esso torna frequentemente, quasi costella la vicenda evangelica nei suoi snodi fondamentali:

  • Annunciando a Maria la divina maternità, l’angelo Gabriele le dice: “non avere paura, Maria, tu hai trovato grazia presso Dio”.
  • Nel mattino di Pasqua, l’angelo dice alle donne: “non abbiate paura voi! So che cercate Gesù, il Crocifisso. Non è qui, è risorto!”.
  • Ed a Pietro sul lago, dopo la pesca miracolosa Gesù dice: “non avere paura, tu sarai pescatore di uomini”.

Così anche stantotte, nell’annuncio della Natività, ritorna la stessa parola: non abbiate paura!

Ecco,quando Dio si fa vicino, quando bussa alla porta della nostra vita, noi siamo colti dalla paura.

Da cosa nasce questa paura, perché questo turbamento nelle persone?

Perché quando Dio si avvicina alla nostra strada scompagina i nostri progetti, rompe le nostre misure accomodate, ci trasporta in paesaggi e geografie di vita che istintivamente percepiamo come estranee o rischiose per i piani ed i sogni che accarezzavamo nel cuore.

Così è accaduto ad Abramo: “esci dalla tua terra, dalla casa di tuo padre, e vai nella terra che io ti indicherò”.

Così è accaduto a Mosè: “torna in Egitto, vai dal Faraone e libera il mio popolo”.

Così accade a Maria: “ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”.

Così accade a noi, a ciascuno di noi, quando nel cammino della vita incontriamo il Signore, ne riconosciamo il passo accanto a noi lungo la strada, ne sentiamo il tocco che bussa alla porta della vita.

Ma forse qualcuno stanotte dirà: macché paura! Io non mi sono mai accorto di aver paura di Dio, proprio non mi è successo mai!

Credo che anche questo sia vero, ed è uno stato d’animo, una situazione ampia e dilagante: è la situazione di chi non ha mai incontrato personalmente il Signore; non Gli ha mai permesso di varcare la soglia della propria esistenza; non ha mia confrontato con Lui e con il Vangelo i propri sentimenti, le scelte, i comportamenti. Il mondo e la Chiesa sono pieni di Cristiani che, forse senza loro colpa, pensano a Dio come gli antichi Romani pensavano a Giove e gli Illuministi pensavano all’ente supremo.

Ed anche da questo modo di vivere il Cristianesimo, ridotto a intonaco o a buccia, rimbalza con forza nella nostra vita l’appello di questa notte: “non abbiate paura!”.

Ed allora, messi faccia a faccia con la verità umile e sconvolgente del Natale Cristiano, di un Dio che intreccia la Sua vita con te, ci poniamo con inerme verità la domanda: ma noi di che cosa abbiamo paura? Perché ci difendiamo dal Natale con l’effimero dei consumi e delle emozioni? Perché ci difendiamo dal Vangelo con la scusa della cultura di massa e del costume sociale? Perché ci difendiamo dal Cristianesimo come se Dio non esistesse? Perché riduciamo l’essere Cristiani a qualche gesto religioso ogni tanto, a qualche formula di preghiera stentata, a qualche stiracchiata osservanza in certi momenti?

Cosa ci impedisce di prendere sul serio il Natale, cosa ci impedisce di prendere sul serio il Vangelo e Gesù Cristo? Noi di che cosa abbiamo paura?

Tento di accennare qualche risposta, affidando a voi, alla vostra intelligenza ed al vostro cuore, una risposta più meditata e personale, più aperta a decisioni e comportamenti nuovi.

Allora, noi di che cosa abbiamo paura?

  • Per prima cosa direi che abbiamo paura della radicalità. Che Dio ci chieda troppo, che ci allontani da modelli e stili di vita che la nostra società oggi ritiene imprescindibili e necessari. Abbiamo paura che il Vangelo ci scomodi e ci chieda di percorrere strade faticose e non immediatamente gratificanti.
  • Direi che abbiamo paura anche della fede per ciò che realmente essa è: non un dire”ma sì, forse qualcosa ci sarà…!” ma un consegnare la nostra vita alle Sue mani, un regalarci a Lui, come Lui in questa notte si è per sempre regalato a noi. Abbiamo paura della fede perché capiamo perfettamente che essa non è soltanto un’ammissione intellettuale dell’esistenza di Dio, ma un fidarsi di Lui, un consegnarci a Lui, un mettere nelle Sue mani il timone della nostra navigazione.
  • Abbiamo paura anche di esporci dinanzi agli altri, al nostro tempo, all’opinione comune, perché ne temiamo il giudizio e la critica. Abbiamo paura di apparire diversi, di essere alternativi, di rimanere senza plauso e senza consenso da parte dell’ambiente. Abbiamo di essere il “brutto anatroccolo” nella covata uniforme della società.
  • Infine direi che abbiamo paura della radicalità dell’amore, così come questa Notte di Natale ce la manifesta e ce l’annuncia. Intuiamo molto bene che l’amore è di natura sua totalizzante, pervasivo, ablativo fino al dono di sé, definitivo e non reversibile, almeno nel progetto e nell’impegno. Ed allora preferiamo metter su casa in periferia, nelle zone dell’aggiustamento e del compromesso, del “sì, ma…” del “sì, se…”, del “sì, fino a che…”. Ci difendiamo dalla radicalità dell’amore, dalla eventualità che esso possa farci faticare e soffrire, possa chiederci un prezzo troppo alto. Vorremmo tutto, ma pagando poco. E non ci rendiamo conto che un amore amputato della radicalità genera più sofferenza, più delusione e più tristezza di quanto mai potessimo pensare. La gente oggi, paradossalmente, soffre molto di più per la paura o l’incapacità ad amare di quanto non soffrirebbe se amasse con radicalità. Si spende di più per procurarci lo sconto che a pagare il prezzo intero!

Sorelle e fratelli miei, eccoci ancora una volta raccolti insieme e posti dinanzi al Natale, collocati dinanzi a quell’umanità tenera e seria di quel Bambino che è Dio con noi, Dio fatto uno di noi.

Eccoci dinanzi al Vangelo divenuto carne, divenuto vita: esso ci dice che Dio non ha avuto paura a credere in te, a mettersi nelle tue mani, non ha avuto paura a volerti bene senza misura, ad amarti con radicalità.

Ed ecco la frase che ci ha raggiunto stanotte, che prende per mano la nostra vita e la conduce dinanzi alla grotta, dinanzi al Bambino: “non abbiate paura!”.

Smettiamo di fuggire dal Natale, cessiamo di difenderci alzando le cortine dell’esteriorità, dell’effimero, dell’occasionale emozione. Permettiamo al Natale di accadere non solo nel calendario, ma nell’anima, nella profondità della vita.

Cessiamo di scappare dal Natale sulle vie della mediocrità, di un Cristianesimo ridotto a buccia secca, sulle vie di un costume sociale e di un vezzo culturale che chiama integralismo la convinzione religiosa, faziosità l’appartenenza ecclesiale, ingerenza la partecipazione, razzismo la convinta identità cristiana, per poi sostituirle con un certo pluralismo ridotto a svolazzamento e con un sedicente dialogo che ripete la fatuità del nulla.

“Non abbiate paura!” l’appello dell’angelo ai pastori, nella notte di Natale, è anche un invito ed una chiamata per la nostra vita, perché finalmente ci lasciamo raggiungere dalla strada percorsa da quel Bambino, apriamo la porta della nostra vita al suo umile e tenace bussare, e permettiamo al Natale, permettiamo al Vangelo di avere casa dentro di noi.