Convegno su «Salute e Salvezza»

09-04-2003
«IL TEMA BIBLICO DELLA SALVEZZA»

Casole d’Elsa 9/4/2003
Convegno su «Salute e Salvezza»

Il problema della Salvezza è centrale in ogni esperienza religiosa. Esso appartiene alla stessa struttura ed identità del fenomeno umano, e trova espressione ed acutizzazione nelle mille forme con cui «l’esperienza del limite» tocca la nostra vita.

Biblicamente la categoria di Salvezza si verifica come categoria «in progress», cioé in crescita, in evoluzione attraverso i libri biblici dall’Antico al Nuovo Testamento. Negli strati letterari più antichi della Rivelazione Biblica la Salvezza è intesa in senso storico-immanente: è la liberazione dall’Egitto (esperienza fontale e paradigma di ogni salvezza per Israele), è la vittoria sul nemico, è il ritorno dall’Esilio, è la salute, è la prosperità economica, è la guarigione dalla malattia, è la vittoria del giusto sui propri avversari. Questa Salvezza è determinata, da parte di Dio, dalla sua misericordia e fedeltà (hesed, hemet), da parte dell’uomo o del popolo dal permanere con la vita dentro lo spazio della Legge e dell’Alleanza.

Questa categoria di Salvezza intesa come armonia della vita e come riuscita della persona nella vicenda dell’esistenza, entra in seria crisi dinanzi all’esperienza traumatica delle grandi tragedie storiche d’Israele e dell’insuperabile enigma posto dalla sofferenza del giusto e dal patire dell’innocente.

Ne sono testimonianze il Libro di Giobbe ed alcuni Salmi.

Dinanzi a questa «pietra d’inciampo» che è la sofferenza del giusto, singolo o popolo, il concetto di salvezza si affina sviluppandosi in due direzioni interdipendenti: da un lato si spiritualizza maggiormente, dall’altro si proietta anche nella dimensione ultraterrena.

La maggiore spiritualizzazione del concetto di Salvezza comporta che essa è vista non tanto come un complesso di beni materiali ma come una dimensione sempre più marcatamente spirituale, riconducibile alla comunione di vita con Dio. Tale Salvezza risulta compatibile anche con il fallimento e lo scacco che certi aspetti della vita, personale o collettiva, possono incontrare. Anzi questo concetto più spiritualizzato della Salvezza spinge a trovare un senso positivo, un valore anche nel patire, nel fallire e nel morire. I Carmi del Servo di Jahwé presenti nel DeuteroIsaia sono tipici in questo senso.

La seconda direzione in cui la categoria di Salvezza si sviluppa è quella ultraterrena. Poiché, comunque storicamente vada, la vita personale o del popolo non è mai adeguata all’attesa di compimento e di felicità che è segnata dentro ciascuno, l’esaudimento di questa attesa è sperato in una “vita oltre la vita”, sulla cui rappresentazione troviamo nell’Antico Testamento idee differenziate e talora un po’ vaghe.

Il Nuovo Testamento sviluppa questo tema della Salvezza in maniera sorprendentemente ampia, dando continuità ad alcune linee già presenti nell’Antico ma anche apportandone di nuove ed approdando a nuove sintesi di lettura antropologica.

Per il Nuovo Testamento la Salvezza è essenzialmente descrivibile nella categoria dell’Incontro e della Comunione. Salvezza è certamente l’incontro tra Dio e la vita, la comunione tra Dio e la persona. L’evento oggettivo della Salvezza umana è Gesù Cristo: la sua Incarnazione, la sua morte e Resurrezione. Nella vicenda di Cristo la Salvezza si rivela come un elemento drammatico poiché essa chiede l’incarnazione e la morte di Dio: la kenosis di Dio. La lettura antropologica che il Cristianesimo dà, vede l’uomo assolutamente incapace di salvarsi da solo, cioé di procedere con le sole sue forze verso l’incontro e la comunione beatificante con Dio: perché l’uomo è franto, l’uomo è spezzato dentro, è colpito da un’insanabile malattia che lo volge al male, cioé a comportamenti, ragionamenti ed orientamenti nemici della sua stessa Salvezza, della sua stessa vera felicità.

Per questa interiore frattura l’occhio dell’uomo si è opacizzato e non riesce più a chiaramente intendere cosa sia per lui Salvezza, cosa sia per lui felicità; la volontà dell’uomo si è indebolita e riesce solo fiaccamente e poveramente a volere il bene; le stesse facoltà umane sono ferite e non soccorrono la persona nel costruire le risposta e la realizzazione del proprio giusto cammino.

Per questo l’evento oggettivo della salvezza avviene, nella visione cristiana, in forma unilaterale e drammatica: unilaterale perché è solo Dio che salva, drammatica perché essa avviene nell’economia, cioé nella concreta disposizione dei fatti storici, attraverso, appunto, la Kenosis cioé l’assunzione della natura umana da parte del Verbo, fino alla radicalità del patire e del morire.

Questa forma drammatica, kenotica, che la Salvezza assume, dice da un lato la radicale negatività del peccato, cioé della situazione in cui storicamente l’uomo si trova, dall’altro dice la totalità e l’immotivatezza dell’amore con cui Dio guarda alla creatura.

La categoria cristiana della Salvezza ci pone di fronte a questi due «numeri primi» non ulteriormente scomponibili: la valenza radicalmente antiumana del male e del peccato, l’immotivatezza  della scelta divina che, per così dire, attua e consuma la propria “deità” in un atto infinito di amore verso la creatura peccatrice, che è perciò un amore fatto misericordia.

L’evento oggettivo della Salvezza, consistente nella vicenda dell’Incarnazione, morte e Resurrezione di Cristo, appartiene al nostro passato, collocato nella distanza cronologica di 2000 anni. Ma il tempo non lo ingabbia né invincibilmente lo trattiene: esso si rende contemporaneo ad ogni generazione umana, ad ogni vita, attraverso l’annuncio del Vangelo. Nella parola del Vangelo che risuona nel mondo, ogni persona è posta dinanzi all’evento decisivo della Salvezza e può fare responsabilmente la propria scelta. Così la Salvezza, oggettivamente accaduta 2000 anni or sono, continua soggettivamente ad accadere in ogni tempo ed in ogni spazio, laddove una persona risponda con l’adesione della fede all’annuncio del Vangelo.

 

Ma cosa è questa Salvezza di cui il Cristianesimo parla e quali dimensioni della persona coinvolge?

 

La Salvezza è l’incontro e la comunione di vita tra la creatura e il Dio Trinità. La Salvezza cristiana non è nella solitudine dell’io, nell’esclusività del «sé», ma è nella dimensione del «noi», dove la persona, senza essere rinnegata o soppressa, trova il suo compimento nell’uscita dall’io, nel superamento del «sé» e nell’incontro con la persona di Dio.

Nel «noi» dell’incontro e della comunione l’io personale non è dissolto nella natura divina o nel generico cosmico, ma sussiste, liberato da ogni pesantezza, condizionamento, peccato; reso capace di essere semplicemente e puramente amore; soggetto di una felicità senza misura e senza fine che gli è donata nell’incontro e dall’incontro con la Trinità: suo principio e suo compimento.

La Salvezza cristiana ha, per così dire, una dimensione sociale, comunitaria. Gli «altri» non sono accessori o di contorno alla vicenda salvifica. La Salvezza oggettiva, cioé l’agire di Dio per la Salvezza dell’uomo ha come primo obiettivo l’umanità, come primo frutto la Chiesa. Ed anche la Salvezza soggettiva avviene con la necessaria mediazione e dentro quell’ambiente vitale, quel sitz in Leben, che è la Chiesa. Inoltre, come diremo tra poco, la Salvezza avviene oggettivamente e soggettivamente, dentro la concretezza di una storia, che vuol dire interazioni, relazioni, appartenenze. Dunque la dimensione sociale della persona è affermata e coinvolta dentro il farsi della Salvezza, fino al suo stadio ultimo, nell’incontro beatificante che non sarà solo la ricomposizione della comunione con Dio ma anche con ogni altra creatura che ha solcato il flusso del tempo.

La Salvezza cristiana è dell’uomo integrale, cioé di ogni sua dimensione, di ogni sua «componente», se così mi posso esprimere. Non è solo la «salvezza dell’anima» come un po’ frettolosamente diciamo, ma nell’incontro e nella comunione beatificante con la Trinità entra tutta la persona. È la salvezza dell’anima, dell’intelligenza, della volontà, dell’affettività, della corporeità: cioè di tutto ciò per cui siamo stati uomini. Se così non fosse, non potremmo parlare della Salvezza dell’uomo ma solo di qualche sua dimensione. Per questo il Cristianesimo ortodosso ha sempre difeso la «resurrezione della carne» contro tutti gli gnosticismi antichi e moderni e continua a considerare imperfetta, incompiuta e momentanea la Salvezza dell’uomo finché anche il suo corpo e la sua storicità non sarà trasfigurata e glorificata nel «noi» dell’incontro.

La Salvezza cristiana è cosmica: non riguarda solo l’uomo, ma in lui e per lui raggiunge ogni creatura. Quando la Bibbia parla di «cieli nuovi e terra nuova» dice che nella Salvezza dell’uomo tutto l’universo è misteriosamente coinvolto, trasfigurato e configurato alla Resurrezione di Cristo. Come  specificamente sia, nel suo stadio ultimo, questa Salvezza del cosmo, rimane per noi misterioso, ma è certa la dimensione cosmica della Salvezza.

La Salvezza Cristiana guarda al suo compimento oltre la storia ma non senza la storia bensì attraverso e attraversando la storia. La Salvezza cristiana parla di una “vita eterna” cominciando a ravvisarla ed a costruirla dentro la fragilità e la labilità dei nostri calendari. Se rimane vero che la compiuta dimensione della Salvezza è in quello che popolarmente chiamiamo «il cielo», rimane essenziale, vitale e vero che essa si costruisce nella piena assunzione del tempo, della storia e della terra. Così il cammino cristiano porta la fatica e la gloria di incamminare con sé ogni creatura ed ogni umana convivenza, rispettandole nel loro ordine e nella loro autonomia, vorrei dire nella loro «laicità». La costruzione del Regno di Dio nel mondo non è una clericalizzazione del mondo o della società, ma è un «mondanizzare» il mondo, un «laicizzare» ma la città secondo il loro statuto originario e proprio.

 

Un’ultima cosa vorrei aggiungere: la Salvezza cristiana è in stretto rapporto anche con il tema della salute, e sotto molteplici aspetti. L’uomo salvato, nella sua dimensione escatologica, è l’uomo che ritrova la gioia e la gloria dell’armonia infranta, è l’uomo realizzato finalmente nella sua integrità psichica, corporea, spirituale, relazionale. Anche nella vicenda storica il Cristiano deve tendere a questa composizione della propria realtà creata nell’armonia e nell’ordine delle diverse componenti e dimensioni. Questo chiede il rispetto e la promozione della salute personale, sociale, ambientale come un valore che merita passione e dedizione.

Occorre però dire che la salute non è un bene assoluto: essa può e, quando occorre, deve essere sacrificata in vista di un bene più grande qual’è il servizio al Vangelo e l’amore ai fratelli. La vicenda cristiana è certamente assunta e vissuta dall’io personale ma non è centrata sull’io della persona: al centro c’è la persona di Dio e la persona dei fratelli. Incontriamo su questa strada il volto e l’esperienza dei martiri per la fede, antichi e recenti, ed il volto dei Santi, che si sono lasciati espropriare dalla Carità (cfr. Madre Teresa canonizzata il prossimo 19 ottobre)  Ed anche quando la salute difetta o declina per cause naturali il cristiano è chiamato a decifrare e vivere l’esperienza della sofferenza e della malattia non come una privazione mortificante o disperante, come un essere o valere di meno, ma come un dono: cioè un gesto ed un atto di amore di Dio verso la tua vita che ti spinge a consegnarti a Lui, a confidare in Lui, a perderti in Lui, a sentirsi amato ed a rispondere amore anche nell’essere ammalato o impedito. È il cammino della salvezza che avanza anche là dove la salute manca.

Ed ancora la situazione di infermità e di malattia è letta e vissuta cristianamente come un intensificato servizio ai fratelli, magari non nell’ordine dell’efficienza e dell’operatività ma in quello di una misteriosa vicinanza e forza che, a motivo della comunione dei credenti in Cristo, la “comunione dei santi”, si applica a coloro che magari sono in piena salute fisica ma spiritualmente spenti ed amorfi. Così ancora una volta la mancanza della salute può aprire o accelerare il cammino alla Salvezza.

In questo senso l’antropologia cristiana spezza definitivamente una lettura sacrale della malattia e, per converso, della salute. Questo non significa che la salute o la malattia non abbiano rapporto anche con altre dimensioni della persona, ma certamente non sono riducibili a “sintomo” di situazioni interiori, in senso immediato ed automatico. Già l’Antico Testamento aveva conosciuto una lettura della malattia come espressione del Male presente nella persona che veniva poi interpretato come colpa personale. Si creava così la micidiale triangolazione: malattia – male – colpa ed il disumano binomio: ammalato = colpevole.

E’ Gesù stesso che spezza questo meccanismo nella vicenda del cieco nato (Gv. 9, 2) sottraendo la malattia all’eziologia della colpa personale e riconsegnandola al più ampio alfabeto del provvido e misterioso agire di Dio.

E’ questa de-sacralizzazione della malattia e della salute che apre lo spazio allo studio, alla sperimentazione, alla scienza medica, senza che peraltro tali dimensioni della persona vengano sottratte o negate a quella offerta di senso e di valore che la Rivelazione Cristiana apporta all’intero fenomeno umano ed alla sua vicissitudine nel tempo.

Tra salute e salvezza c’è dunque biblicamente un rapporto ma esso non è essenziale né costitutivo dei due termini: la Salvezza non produce né postula necessariamente la salute né quest’ultima è ordinariamente sintomo della prima. La Salvezza è un dono ed un appello rivolto alla persona che la determina ad assumere e vivere positivamente ogni situazione di vita in cui possa venire a trovarsi: nella salute e nella malattia, nella gioia e nel dolore. La Salvezza chiede a ciascuno, sempre, di leggere e vivere la propria situazione come dono e risposta all’amore.

 

+ Bianchi Mansueto

Vescovo di Volterra