Omelia nella Festa di S.Lino
22 settembre 2002
Vi saluto, sorelle e fratelli, qui raccolti nella Chiesa Cattedrale in questa festa di S.Lino ed all’inizio del cammino biennale tracciato dal programma pastorale che ci è stato presentato.
Ci raccoglie stasera il “dono del Pane” che è la Parola di Gesù per la nostra strada, il corpo sacrificato e glorificato del Signore per la nostra vita.
E proprio la Parola di Gesù, nel vangelo di Luca, configurava stasera il volto e la strada del discepolo: è questa la definitiva grandezza che appartiene ad ogni Cristiano, è questo l’imperdibile titolo di gloria che appartiene a S.Lino e ne motiva al permanente memoria nella nostra Chiesa di Volterra e nella Chiesa universale.
Certo: Volterrano di origine, convertito da Pietro, missionario nelle Gallie, insigne per miracoli e per dottrina, vescovo di Roma e primo pontefice dopo il Pescatore di Galilea, martire sotto il console Saturnino, ma sopra tutto questo e dentro tutto questo discepolo di Gesù, cioè persona che ha scelto di porre i propri passi dietro al cammino di Cristo e di deporre la propria vita nelle mani del suo Signore.
Questa è la definitiva grandezza che appartiene al Pontefice S.Lino, questa è la vocazione cui ciascuno di noi è chiamato, ed è grazia singolare del Signore che noi possiamo stasera sentircela nuovamente narrare dalla Parola Evangelica, ricevendola come riflessa sul volto e nella vita di questo fratello maggiore, figlio della terra Volterrana.
Vorrei fare alcune riflessioni sul brano che abbiamo ascoltato, quasi evidenziandone brevi frasi.
Il contesto è quello della missione, dell’invio dei settantadue discepoli nel cammino missionario, per annunciare il Regno di Dio, la persona di Gesù, a tutto Israele.
E’ il cammino sul quale anche la nostra Chiesa di Volterra si è messa, e desidera continuare a porsi negli anni che ci stanno dinanzi. Non più una Chiesa, non più Parrocchie che producono soltanto servizi religiosi, non più una Comunità Cristiana che solo attende la gente e riceve richieste di servizi catechistici, sacramentali o celebrativi, ma anche una Chiesa evangelizzatrice, che non si limita ad attendere, ma entra dentro le strade e la vita della gente per suscitare la domanda su Gesù, per aiutare le persone a guardarsi dentro ed a capire quanta attesa di Dio è segnata dentro la loro vita, per portare sulla soglia della vita quelle decisive parole: “il Regno di Dio si è fatto vicino a voi”.
Fratelli e sorelle, è questa la prima elementare e basilare verità che noi troviamo nel Vangelo di oggi, segnata nella semplicità e decisività di un verbo “li mandò”. Noi Cristiani non siamo stati “programmati” per stare, per aspettare, ma per andare, non per rispondere ma per annunciare, non per essere trovati o raggiunti ma per cercare gli altri là dove sono. “Li mandò”! Che il Signore ce lo scriva nella mente e nel cuore questo verbo, che ce lo scriva nelle gambe per farci alzare dalle nostre canoniche e dalle nostre chiese, dalle nostre associazioni e dai nostri gruppi, per andare, con il cuore colmo di Cristo, là dove è la vera casa del Cristiano: sulla strada simbolo della vita, sulla piazza simbolo dell’incontro.
“Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due”. C’è dunque una missione che non riguarda solo il ristretto gruppo dei 12, degli Apostoli; c’è una missione che riguarda i 72, che pervade cioè tutta la Chiesa, che tocca particolarmente voi laici e vi caratterizza essenzialmente come missionari ed evangelizzatori,proprio perché credenti.
E’ dunque tutta la Chiesa, nel Vescovo, nei Presbiteri, nei Laici che, con diverse modalità, percorre il cammino della missione. Ed anche il fatto che Gesù li mandò non come solitari, ma “a due a due”non significa solo l’autorevolezza dell’annuncio ma anche la sua ecclesialità, la simultaneità della Comunione e della Missione. E’ per questo che nel programma pastorale il Vescovo insiste sulla costituzione ed il funzionamento degli organismi di partecipazione ecclesiale ( i Consigli Pastorali ed i Consigli per gli Affari Economici), perché questa nuova fisionomia di Parrocchia, evangelizzatrice e missionaria, deve essere insieme maturata, insieme programmata, insieme vissuta. Non sarà la fuga in avanti di qualcuno che farà la nuova stagione ecclesiale, ma una scelta da tutti condivisa, assunta, faticata.
Ed è ancora per questo che il Vescovo richiama, nel programma, ad una Catechesi Catecumenale, che non sia solo trasmissione di nozioni per sbarcare ai Sacramenti, secondo scadenze anagrafiche, ma sia esperienza viva della persona di Gesù, dell’appartenenza alla Chiesa, della vicinanza ai poveri, che accompagna e provoca il cammino di crescita nella fede fino all’evento sacramentale e poi oltre quello, fino ad una vita autenticamente cristiana dentro le ordinarie vicende familiari, professionali, relazionali.
Ma quel numero 72 che abbiamo ascoltato, “ne designò altri 72” fa riferimento anche all’universalità della missione. Secondo il cap. 10 della Genesi sono 72 i popoli dell’umanità, quelli che discendono dalla benedizione e dall’alleanza con Noè dopo il diluvio.
“Ne inviò altri 72” significa allora che l’orizzonte della missione è universale; nessun popolo è escluso, nessuna geografia umana le rimane estranea. Ed io richiedo chi sono questi 72 popoli per noi Chiesa di Volterra, cosa significa questa universalità per le nostre Parrocchie e per le nostre Comunità. Il programma pastorale che avete nelle mani vi indica due categorie in particolare: 1) evangelizzare i Cristiani 2) evangelizzare i “lontani”, i non credenti.
Evangelizzare i Cristiani è l’obiettivo primo e principale: si tratta di accompagnare alla fede o ad una fede più viva quei Cristiani che, pur essendo battezzati e pur dicendosi tali, vivono una vita sostanzialmente pagana, limitando il loro Cristianesimo a qualche vago e sporadico sentimento ed a qualche saltuario gesto religioso. Ciascuno di noi è circondato da questi Cristiani da evangelizzare, da convertire: sono in casa nostra, sul nostro lavoro, nelle nostre amicizie. Ed è questa anche la missione più possibile e più normale perché si rivolge a persone che, pur trascurando la loro fede, tuttavia non la negano né la rinnegano.
C’è poi l’evangelizzazione ai “lontani”, ai non credenti, agli appartenenti ad altre religioni. E’ strano e sintomatico accorgerci come il primo annuncio del Vangelo sta diventando di casa nella nostra terra e nelle nostre città. Questa missione ai lontani chiede, soprattutto a voi laici, disponibilità, formazione, evangelica essenzialità di vita. La santità, la santità laicale, la santità feriale è la forza grande e mite del Vangelo su ogni cuore.
“Non portate borsa, né bisaccia, né sandali”: il cammino della missione confida centralmente nella persona di Gesù, sulla Sua Parola, sull’azione dello Spirito che parla nella profondità dell’uomo. Una Chiesa evangelizzatrice è essenzialmente una Chiesa povera, una Chiesa conformata dallo spirito delle Beatitudini, una Chiesa che sente ed ama il Vangelo e Gesù come sua ricchezza e suo unico tesoro. Quando una Comunità Cristiana vuole intraprendere la via della missione, il primo gesto che compie non è quello del “diffondersi altrove”, del disperdersi in mezzo alla gente, ma quello di raccogliersi attorno al Vangelo. Il primo passo della evangelizzazione è lasciarsi evangelizzare, il creare l’aggancio stabile tra la nostra vita e la Parola del Vangelo. E’ per questo che il programma pastorale viene chiedendo, con forza ed insistenza, a ciascuna Parrocchia di attivare, consolidare, aumentare i gruppi di ascolto del Vangelo dentro le case e le famiglie, come pure di individuare e formare animatori laici che siano capaci di accompagnare e sostenere il cammino di questi gruppi incontro alla Parola di Dio.
C’ è un ultimo aspetto che vorrei sottolineare con voi nel Vangelo odi questa sera ed è l’ambiente al quale la missione si volge e si dirige. Dice ripetutamente il testo di Luca “… li inviò in ogni città e luogo dove stava per recarsi.. in qualunque casa entriate prima dite: pace a questa casa… quando entrerete in una città e vi accoglieranno…. dite loro: si è avvicinato a voi il Regno di Dio!”
Ecco, sono due gli ambiti, i luoghi ai quali la missione si dirige, secondo la Parola di Gesù: la casa e la città.
La casa vuol dire evangelizzare la persona, il suo mondo interiore, gli orientamenti fondamentali della vita, i criteri di giudizio e di scelta. La casa vuol dire evangelizzare i rapporti e le relazioni più decisive per la vita di ciascuno, evangelizzare quella comunità di amore che è la famiglia, i vincoli di sangue e di affetto che reciprocamente ci legano. Evangelizzare la casa vuol dire consentire alla persona di Gesù ed al Suo Vangelo di diventare il contenuto della nostra vita, il motivo del nostro agire, la stella polare che orienta e chiama il nostro cammino.
E poi evangelizzare la città: cioè essere coerentemente Cristiani dentro la vita sociale, professionale, relazionale. Evangelizzare la città vuol dire elaborare e promuovere schemi e stili di convivenza attenti alla partecipazione, alla gratuità, alla solidarietà. Essere discepoli di Gesù Cristo è certamente un fatto personale ma non è assolutamente un fatto privato, come molti oggi ci vogliono far credere. Essere Cristiani vuol dire avere un progetto, un sogno di città, di società, di civiltà dove l’uomo è prima di tutto e più di tutto perché immagine vivente di Dio. Vuol dire avere un progetto di città e di civiltà dove si moltiplicano gli spazi della democrazia e della libertà per tutti. Vuol dire avere un progetto di città e di civiltà che abbia un’anima, cioè che non sia spenta dall’indifferenza, dall’individualismo, dall’egoismo economico, dalla dura legge di mercato.
Cari amici, sorelle e fratelli laici, noi siamo l’anima del mondo, noi siamo l’anima dei nostri paesi e delle nostre città, noi Cristiani siamo l’anima di Volterra.
Occorre perciò che il nostro essere Cristiani si traduca in progetto politico, in presenza sociale, in elaborazione culturale. Occorre che il nostro stile di partecipazione divenga attenzione alle voci “spente”, ascolto e risposta a chi non ha potere, a chi non è ascoltato, a chi ha smarrito il senso della personale dignità. Occorre che la nostra convivenza sia saggiamente aperta ed accogliente verso chi approda ai nostri lidi perché ha fame di pane, di futuro e di dignità.
Evangelizzatori, dunque, della casa e della città.
Ecco il motivo del nostro incontro stasera, ecco perché il vescovo vi ha convocato da ogni dove della Diocesi e vi ha posto in mano questi pochi fogli che sono il programma pastorale per il prossimo biennio.
E riprendiamo il nostro cammino, di Associazioni, di Parrocchie, di Diocesi; riprendiamo con slancio la strada della Comunione e della Missione sulla quale il Vangelo ci spinge, sotto lo sguardo materno della Madonna di S.Sebastiano, con la compagnia forte e suadente di S.Lino, nostro fratello maggiore.