DARO’ LORO IL SALARIO

20-05-2021

Diocesi di Volterra

Basilica Cattedrale

MESSA CRISMALE E

ANNIVERSARIO DEDICAZIONE

Io darò loro fedelmente il salario

Is 61,8

Is 61,1-3a.6a.8b-9: Il Signore mi ha consacrato con l’unzione.

Sal 89: Canterò per sempre l’amore del Signore.

Ap 1,5-8: Cristo ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre.

Lc 4,16-21: Lo spirito del Signore è sopra di me.

Giovedì 20 maggio2021

1. Per una felice coincidenza abbiamo unito in un’unica celebrazione l’anniversario della Basilica Cattedrale e la Messa del Sacro Crisma che comporta il rinnovo degli impegni sacerdotali. Le due feste si impreziosiscono a vicenda, perché la Cattedrale è il segno visivo dell’unità della diocesi, e la Messa Crismale ricorda la nostra consacrazione nell’unico sacerdozio di Cristo per il servizio a una diocesi. Non siamo diventati presbiteri per il servizio di una parrocchia, ma per il servizio a una Chiesa locale nella quale si rispecchia la Chiesa universale.

2. In questa quattordicesima Messa del Crisma che celebro con voi mi sembra opportuno proporre una riflessione presa dalla lettura del profeta Isaia: «Io darò loro fedelmente il salario, concluderò con loro un’alleanza eterna» (Is 61,8). Il profeta presenta la sua missione in prima persona, come già aveva fatto il Servo del Signore nei capitoli precedenti, e si sente incaricato da parte di Dio di portare al popolo un messaggio di consolazione e di ricostruzione. Alla fine della auto-presentazione interviene Dio promettendo la ricompensa per il profeta e un’alleanza eterna con il popolo. Gesù applica il testo a se stesso, perché si riconosce punto per punto nella presentazione fatta dal profeta.

3. Chi ha ricevuto lo spirito del Signore dunque è consapevole di essere inviato per un servizio da rendere alla comunità; il Signore darà la ricompensa a lui e costituirà un’alleanza eterna con il popolo. La vocazione individuale del profeta è in funzione della vocazione collettiva: chi è chiamato da Dio si rende disponibile a diventare suo messaggero davanti agli uomini e promotore della promessa alleanza eterna.

4. La ricompensa per il profeta proviene direttamente dal Signore: «Io darò loro fedelmente il salario» (Is 61,8). Il suo stato giuridico viene quindi equiparato a quello dei membri della tribù sacerdotale, per la quale non era assegnata una parte specifica nella distribuzione della terra promessa. Leggiamo nell’Antico Testamento: «Il Signore disse ad Aronne: Tu non avrai alcuna eredità nella loro terra e non ci sarà parte per te in mezzo a loro. Io sono la tua parte e la tua eredità in mezzo agli Israeliti» (Nm 18,20). E ancora: «I sacerdoti leviti, tutta la tribù di Levi, non avranno parte né eredità insieme con Israele. Il Signore è la sua eredità, come gli ha promesso» (Dt 18,1). Di conseguenza anche la preghiera di chi è mandato diventa un atto di fiducia nel Signore, come dice il salmista: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita» (Sal 16,5), e ancora: «Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti, perché sono essi la gioia del mio cuore» (Sal 119,111). Anche nel Libro delle Lamentazioni si legge: «Mia parte è il Signore, per questo in lui spero» (Lm 3,24).

5. Nel Nuovo Testamento abbiamo la testimonianza molto più esplicita di San Paolo. Scrive infatti ai Corinzi: «Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo» (1Cor 9,16-18). La ricompensa dipende dalla generosità di chi manda, non dal rendimento, perché nell’apostolato non esistono premi di produzione. Commenta ancora con arguzia san Paolo: «Nella legge di Mosè sta scritto: Non metterai la museruola al bue che trebbia. Forse Dio si prende cura dei buoi?» (1Cor 9,9). «Non metterai la museruola al bue che trebbia, chi lavora ha diritto alla sua ricompensa» (1Tm 5,18).

6. Seguendo la tradizione dell’Antico e Nuovo Testamento, e mettendo in pratica quanto viene insegnato in seminario, anche i nostri preti con sacrificio, con costanza, con dispendio di energie, si dedicano all’apostolato. Non sono mestieranti del sacro, non sono alla ricerca di una sistemazione economica, sono consapevoli di svolgere una missione ricevuta dall’alto per il bene di tutto il popolo di Dio. Nella consapevolezza di portare nella comunità dei cristiani e nella vita dei singoli la presenza del Signore, prima ancora della predicazione e della liturgia danno la testimonianza della propria vita: siamo preti sempre, ovunque, comunque. La missione è legata in modo indivisibile alla nostra stessa persona, non abbiamo una «vita privata» diversa dalla missione, non dividiamo la nostra giornata in orario di lavoro e tempo libero.

7. Il prete guarda alla persona di Gesù, segue il suo esempio, non cerca successi spettacolari, perché sa che la croce e la sofferenza toccheranno anche la sua anima, ma queste sofferenze sopportate sulla sua persona apriranno le anime al solo Salvatore Gesù. Purtroppo andiamo incontro anche a fallimenti, che dobbiamo considerare come una purificazione del nostro ministero in vista di un bene maggiore. La ricompensa non ci viene dal consenso popolare, ma dal padrone della vigna, che è molto più generoso del nostro merito (Mt 20,1-16).

8. San Pietro al termine della sua prima lettera promette ai suoi anziani-presbiteri una ricompensa usando l’immagine della corona, secondo l’uso di conferire una corona fatta con rami di piante al vincitore di una gara o a chi avesse esercitato bene le cariche cittadine: «E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce» (1Pt 5,4). È quello che anche noi aspettiamo di sentirci dire: «Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,21).

9. In questo periodo di sconsiderati attacchi al clero per la fragilità di qualcuno, di fronte a certi giornalisti a corto di argomenti che si divertono a contrapporre la gerarchia al papa, la chiesa di base a quella dei ‘piani alti’, diventa sempre più luminoso l’esempio di tanti preti che non sono «collezionisti di anticaglie o di novità», come dice il papa, ma nelle periferie geografiche ed esistenziali spendono la loro vita nello stare vicino ai propri parrocchiani e si sacrificano anche economicamente per mantenere il grande patrimonio artistico che ci è dato in custodia. Non con i discorsi dei teologi, ma con la presenza dei parroci la Chiesa si manifesta al mondo e guida il cammino dell’umanità.