S. Natale 2000

25-12-2000
S.Natale 2000

La Cattedrale è piena stanotte: è come una grande casa che vede vinta e colmata la fredda solitudine di tanti giorni e torna ad essere famiglia perché colma di presenza, di vita, di attesa.

La Cattedrale è piena stanotte: ci sono le persone di sempre, i fedeli amici di ogni Domenica, ci sono le persone che vengono occasionalmente, in circostanze particolari come questa.

Fratelli e Sorelle noi, con un linguaggio forse un po’ freddo e descrittivo, vi chiamiamo i “ cristiani marginali ” oppure i “praticanti occasionali ”. Con queste espressioni registriamo solo un comportamento esterno, il vostro rendervi presenti alla vita della Comunità Cristiana solo in alcune eccezionali circostanze della vita personale, della vicenda familiare, del vissuto sociale, così come accade stasera.

Ma ciò che portate nella mente e nel cuore, il posto che Dio ha nella profondità dei vostri sentimenti e dei vostri pensieri, la presenza e l’incidenza di Gesù Cristo nell’orizzonte delle vostre intenzioni e della vostra vita, solo voi la conoscete e Lui con voi.

Cosa allora ha da dirvi il Vescovo stasera ed insieme con voi cosa ha da dire all’intera Chiesa di Volterra?

Vorrei che compissimo un gesto semplice e lo compissimo con cuore semplice: vorrei che in questa notte di Natale tutti insieme guardassimo il Presepe. E non per ripescare malinconie d’infanzia che subito sarebbero distrutte dal realismo impietoso della vita quotidiana, ma perché il Presepe è la sintesi, tradotta in immagine, della festa del Natale, è l’annuncio, in icona, del Vangelo che abbiamo ascoltato.

Allora guardiamo il Presepe, lasciamoci raggiungere dal Presepe, entriamo con i passi del cuore dentro il Presepe.

Subito ci accorgiamo che il Presepe ha un centro, è come raccolto e convergente attorno alla figura del Bambino: le piccole strade conducono lì, i personaggi vicini o lontani si volgono verso di Lui, lo stesso paesaggio e le case sono viste a partire dalla grotta, perfino il cielo notturno si raccoglie e quasi si china sopra Betlemme.

Allora anche noi, ormai entrati con i passi del cuore dentro il Presepe, guardiamo il centro di questo mondo in miniatura, guardiamo il Bambino e ci accorgiamo che a tutte le latitudini della terra, in tutti i presepi del mondo, il Bambino ha una medesima caratteristica: ha le braccia aperte ed il volto aperto al sorriso.

E’ un gesto di accoglienza e di invito per tutti, proprio per tutti. Ed in effetti c’è posto per tutti nel Presepe: è popolato di pastori, ma essi, nel contesto culturale in cui Gesù è nato, non erano personaggi positivi, ecologici, come la tradizione posteriore li ha connotati, erano piuttosto persone socialmente e religiosamente marginali, circondati dal pregiudizio e dalla diffidenza.

Essi vengono a dirci che c’è posto per tutti nel Presepe, perché Dio venuto nella nostra carne, nella nostra storia, non ti chiede se sei buono, se sei bravo, se hai osservato tutte le leggi ed i precetti, se hai la veste della vita immacolata; fa un gesto semplicissimo: apre le braccia e sorride come chi è contento di incontrarti perché è venuto proprio per te.

E quelle braccia rimarranno aperte sempre, sino alla fine: se dal Presepe guardiamo il Crocifisso troviamo ancora due braccia aperte nel gesto dell’accoglienza e del perdono. Ed è aperto anche il cuore, squarciato da un colpo di lancia, per dire fino in fondo che Dio è solo amore e perdono, per tutti, per sempre. L’ultima parola che Egli ha voluto scrivere con il sangue nella storia del mondo così come l’unica parola che Egli torna  a scrivere questa notte nel cuore di ogni volterrano e nella vita della città è sempre e solo questa: l’accoglienza, l’amore, il perdono. Che nessuno di noi la lasci cadere, che ciascuno di noi la possa accogliere e tradurre nella vita personale, nella convivenza familiare, nei rapporti professionali e di lavoro, nella vita di quartiere o di contrada, negli orientamenti politici, nei criteri economici, nelle scelte amministrative.

Accogliendo e prolungando quel gesto delle braccia aperte c’è una porta che ancora stanotte rimane aperta e lo rimarrà fino al compiersi del tempo di Natale: è la porta dell’anno giubilare. Sono le braccia del perdono, della riconciliazione, dell’accoglienza solidale e fraterna che si aprono sul mondo e sul cammino dell’uomo nel tempo, in questo inizio di terzo millennio. La porta aperta dell’anno giubilare ci richiama da durezze di cuore, da chiusure mentali, personali, generazionali o sociali; ci chiede di entrare nel nuovo millennio con l’impegno deciso e dichiarato che l’ultima parola, quella dell’amore, segnata da Dio nella storia dell’uomo, divenga finalmente civiltà, cultura, divenga puramente e semplicemente vita dell’uomo e sua storia.

Così l’anno giubilare ci richiama dalle risorgenti e consolidate barbarie dell’oltraggio alla vita, dell’umiliazione di interi popoli nella povertà, nella fame, nella violenza, nella negazione di un dignitoso futuro; ci richiama da una economia planetaria che produce strutturalmente ingiustizia, irrefrenabile povertà per interi popoli, violenza senza fine alla natura, all’ambiente, alle risorse.

Ci richiama da una cultura fatta di chiusura e di indifferenza; dal controllo e dalla manipolazione dell’informazione che cerca di addomesticare il pensiero e di controllare la volontà.

Ma la porta aperta del Giubileo diventa anche il segno di un mondo nuovo di essere Chiesa e di uno stile diverso del suo porsi in mezzo alla gente: segno di una Chiesa che vuole imparare a chiedere perdono al Signore ed agli uomini per essere nel mondo non occasione di giudizio, di divisione, di condanna ma di accoglienza e di perdono.

Allora care sorelle e fratelli, cosa dobbiamo fare stanotte? Siamo entrati con il passo del cuore dentro il Presepe ed abbiamo incontrato due braccia aperte: quelle del Bambino e quelle del Crocifisso.

Lasciamoci abbracciare.

Quando una persona apre le braccia e ti viene incontro, anche tu apri le braccia e le vai incontro. E’ quanto dobbiamo fare stanotte non con il solo gesto esterno, ma con il cuore e la vita.

Lasciamoci raggiungere da Colui che ci cerca, lasciamoci avvolgere da Colui che ci abbraccia.

Dinanzi al Presepe non difendiamoci tirando avanti con lo sguardo distratto di chi non gli interessa, o con il sorriso sufficiente ed ironico di chi ne fa a meno; lasciamo che avvenga l’incontro tra noi e Dio fatto Bambino, divenuto per sempre carne nostra, tra la nostra vita ed il gesto con cui Egli l’accoglie, la perdona, la risana, la rende nuova.

Varchiamo la porta, entriamo anche noi nel Presepe, apriamo stanotte ed in questo inizio del nuovo millennio, la porta della vita, lasciamo che Dio possa entrare e sia compagno fedele, affidabile, del nostro cammino.