OMELIA DEL GIORNO DI NATALE 2005
Cattedrale, 25 Dicembre 2005
Vedere Dio
Sorelle e fratelli, abbiamo inteso la grandiosità di una sinfonia. L’inizio del Vangelo di Giovanni, l’inno al Verbo incarnato, è una composizione letteraria e teologica mirabile, che leva potentemente attorno al Bambino di Betlemme ed alla pochezza del presepe, la parola ardita del mistico e la riflessione profonda del teologo.
Questo inizio del quarto Evangelo è luce potente d’intelletto e di cuore, è voce inarrivabile dello Spirito, che ci pone a fronte e quasi c’immerge nella latitudine del mistero, lasciandocene intuire l’altezza incommensurabile e la profondità.
Vorrei sostare con voi sull’affermazione conclusiva del testo, quasi a lasciarla risuonare dentro di noi ed a prolungarla in questa riflessione ed in questa omelia: “Dio nessuno l’ha visto mai: proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato”.
Sorelle e fratelli miei, vedere è nascere, vedere la propria madre è entrare come uomini nella vita.
Vedere Dio per noi è vivere, è diventare uomini, secondo la grandezza della vocazione cui siamo chiamati. Senza quel vedere, fuori dalla luce del Suo volto, noi restiamo degli incompiuti, degli incompresi ed incomprensibili anche a noi stessi, progetti e desideri di umanità che dolorosamente misurano la propria delusione ed il proprio fallimento.
Quel volto è la nostra vita! Eppure “Dio nessuno l’ha visto mai”, perché fin dall’inizio Adamo, l’uomo, gli ha voltato le spalle ed ha preferito intraprendere una strada di allontanamento e di solitudine, una strada avversa al sole, sulla quale lunga si proiettava l’ombra della nostra umanità, quasi sintomo della storia come un tramonto senza fine.
Il Natale torna a narrarci una verità che ci sembrerebbe umanamente incredibile, come una fiaba, una verità talmente bella e grande che ci manca il coraggio di crederla e di fidarci fino in fondo. Il Natale ci dice che sulla strada che ci allontanava da Dio, noi abbiamo visto venirci incontro e sempre più avvicinarsi un compagno di strada, come noi pellegrino, vestito con la tunica di carne della nostra umanità: era Dio stesso che ci veniva incontro; non come Colui che, abbandonato, ci attende ed aspetta il ritorno, non come Colui che ci rincorre e ci raggiunge alle spalle, ma come Colui che ci viene incontro da quella stessa lontananza cui ci eravamo volti. Il Natale ci annuncia un Dio fatto carne, un Dio reso uomo e bambino, fatto figlio di Adamo che incontra i figli di Adamo perché assume la loro lontananza, riceve la loro solitudine anche se celata dal tripudio e dalla folla, fa Suo il nostro peccato perché possiamo fare nostra la Sua gloria. Natale è la lontananza restituita all’incontro, è lo smarrimento e l’esilio riconsegnato alla patria.
Ecco il giorno di Natale, fratelli e sorelle, il giorno in cui l’uomo errabondo e ferito è stato incontrato da Dio nella sua lontananza, curato dalla Divina Misericordia, condotto alla Comunione, alla Chiesa, alla locanda dove si risana l’umana ferita.
Ecco il giorno in cui nuovamente nasciamo perché nuovamente vediamo, e come nascendo secondo la carne vedemmo il volto della madre così nascendo dall’alto, secondo lo spirito, possiamo vedere il volto di Dio, il volto del Padre.
“Dio nessuno l’ha visto mai: proprio il Figlio Unigenito che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato”.
Allora accostandoci a quel Bambino non pensiamo di fare semplicemente una sosta sulla strada che ci porta o ci tiene lontano da Dio. Non pensiamo di esaurire il Natale nell’effimera commozione di un attimo, nella dolcezza di un ricordo o di un rimpianto, nella limitatezza di un gesto religioso o di una occasionale presenza in Chiesa. Natale è vedere Dio, vederLo nel volto della persona di Gesù, vederlo oggi nella faticosa ed oscura luminosità della fede, per vederLo un giorno nel terso mattino della visione.
Natale è rimanere con la vita davanti al volto di Dio che è Gesù, rimanere con la vita dentro il Vangelo di Gesù, perché come uomini non abbiamo un atro posto possibile, un altro plausibile “dove”, se non in questo stare davanti a Lui, nella luce del Suo volto: questo è il nostro habitat, la nostra tenda quaggiù e la nostra casa lassù. Questo è il nostro “luogo naturale”: quando ci allontaniamo da lì, quando voltiamo le spalle al Suo volto ed al Vangelo di Gesù, erriamo sulle strade del nulla, generiamo una umanità inselvatichita e feroce, ammantandoci con gli abiti belli delle parole e del “pensiero corretto” siamo in realtà impauriti ed ostili all’amore ed alla vita stessa.
Sorelle e fratelli miei, quando voi incontrate il Cristianesimo, quando voi incontrare la Chiesa, non incontrate qualcuno o qualcosa che è nemico dell’uomo, nemico della vostra gioia. Quando incontrate il Cristianesimo e la Chiesa non incontrate neppure semplicemente qualcosa che, volendo, può essere utile, può essere aggiunto a perfezionare la nostra già riuscita umanità, il nostro già soddisfacente destino.
Quando voi incontrate il Cristianesimo e la Chiesa incontrate ciò per cui tutti siamo stati pensati e destinati, incontrate ciò che tutti, esplicitamente o meno, desideriamo e cerchiamo nella profondità del cuore, perché incontrate la possibilità, la strada, lo spazio per giungere a stare dinanzi al volto di Dio che è la nostra vita, che è la misura compiuta della nostra umanità, la causa vera e certa della nostra felicità, già qui sulla terra e poi, imperdibilmente, nel cielo.
Lasciate che ve lo dica, in un tempo ed in una cultura che spesso si tinge di sospetto e diffidenza verso il Cristianesimo e verso la Chiesa, lasciate che ve lo ripeta qui, in un territorio, come quello toscano e volterrano, tradizionalmente ed istintivamente diffidente e guardingo verso la proposta cristiana: la Chiesa ed il Cristianesimo non sono i nemici dell’uomo, la gabbia o il giogo della libertà, siamo invece i servi della vostra gioia, la porta d’accesso alla vostra felicità, perché siamo la strada per giungere dinanzi a quel volto che è la sorgente e la meta del nostro destino.
“Dio nessuno l’ha visto mai: proprio il Figlio Unigenito che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato”.
Sulle strade delle nostre lontananze, delle nostre solitudini profonde, dei nostri peccati, che ciascuno ben conosce, lasciamoci incontrare da questo pellegrino che ci viene incontro dall’orizzonte della lontananza, lasciamoci incontrare da questo Dio che a Betlemme ha indossato la tunica del nostro pellegrinaggio e lasciamoci da Lui condurre a vedere il volto di Dio, perché questa è oggi la tenda, domani la casa della nostra compiuta felicità.