OMELIA DELLA S.MESSA ESEQUIALE DI MONS. SANDRO GAZZARRI

10-01-2004
OMELIA DELLA S.MESSA ESEQUIALE DI MONS. SANDRO GAZZARRI

Cattedrale, 10 Gennaio 2004

 

Eccoci Signore, siamo giunti all’ora nona, all’ora in cui le parole escono come lacrime, quella in cui tu gridasti: “Elì, Elì, lemà Sabactàni, Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” ed emettesti un alto grido: è questa l’ estrema tra le tue parole, uscita sull’ultima frontiera della vita, la parola più difficile a comprendersi, ad interpretarsi, perché non riuscì neppure a diventare parola. Dopo fu il silenzio e la morte.

Siamo giunti all’ora nona, Signore, ora di sgomento, ora di gemito e di silenzio, ma anche l’ora del velo squarciato.

La Chiesa di Volterra si stringe stasera attorno al povero corpo di un fratello prete, segnato dalla malattia, umiliato nella morte: la nostra Chiesa guarda lui e guarda Te, Signore; raccoglie nella memoria e nelle mani la sua vita, breve di 42 anni, e la presenta davanti al Tuo volto, la depone nelle Tue mani e sul Tuo cuore, sul Tuo costato squarciato, perché sa che quella è la porta della misericordia, conosce che lì è l’accesso alla vita.

Ci sono due parole che ci accomunano stasera, due parole che sembrerebbero lottare tra di loro, quasi a spegnersi reciprocamente, eppure ci colmano dentro, fino a traboccarci dalle labbra e noi le diciamo a Te: “Grazie” e “perché?”.

Grazie Signore per il dono di Don Sandro, grazie per la tenacia della sua volontà che lo rendeva forte e sereno anche nel limite fisico e nella malattia; grazie per la sua generosità che l’ha spinto sempre, fino al limite delle forze, a servire la Diocesi e le persone nel ministero pastorale, nel contatto personale, nella celebrazione sacramentale; grazie per la sua intelligenza brillante che ne faceva, all’inizio del suo Sacerdozio, uno dei preti più carichi di promesse e di speranze per la Chiesa di Volterra; grazie per il suo umorismo, per il gusto della battuta, per l’ironia fine e benevola con cui sapeva guardare uomini e cose.

Grazie Signore per il dono della sua obbedienza, assoluta e pronta, ad ogni richiesta del Vescovo, ad ogni necessità della sua Chiesa Volterrana; grazie per il dono del suo silenzio e del suo misurato parlare, con cui avvolgeva, come in un manto di pudore, la sua saggezza ed il suo dolore.

Grazie soprattutto per il dono della sua fede, ogni giorno provata, ogni giorno vagliata sotto il peso della Croce, ma sempre luminosa, sempre straordinariamente forte, fino all’ultimo passo: quello del velo squarciato, quello della tenebra vinta, dell’attesa esaudita e confortata nell’incontro con Te.

Grazie Signore per il dono della famiglia che in questi anni l’ha sostenuto, accompagnato, amato: il fratello Giuseppe, il babbo Mario e la mamma Anna Maria; grazie per il dono di questa donna, di questa mamma ineguagliabile, che ha saputo essere tenera e forte, condiscendente e incoraggiante, sempre dedita a fianco del figlio in un cammino di fatica e di pena che sembrava senza misura.

Ed ora Signore dovremmo pronunciare la seconda parola, quella che più ci urge e ci pesa dentro: “perché?”.

Perché Signore hai permesso che un ragazzo nel fiore della sua adolescenza volesse te, cercasse te più di ogni altra cosa al mondo, fino a lottare per entrare in Seminario; perché lo dotasti di un’intelligenza brillante, di una volontà forte, di un temperamento emergente, ne facesti un giovane prete carico di speranza e di promesse per la Diocesi e poi, un anno ed un mese dopo l’Ordinazione lo fasciasti nell’infermità, lo avvolgesti nel limite come in un abbraccio silenzioso e terribile?

Perché Signore questi 15 anni di Ministero Sacerdotale, come una strada lunga non per la durata, ma per il peso portato, per lo slancio del cuore che voleva ed il limite del corpo che non poteva?

Perché Signore questi 6 mesi di Calvario in cui il suo corpo, come il Tuo, è stato solcato dalle stigmate della sofferenza, e poi queste ultime settimane di pausa, di una speranza che sembrava rinascere e invece, improvvisa, la fine?

Perché Signore questa Chiesa di Volterra così drammaticamente bisognosa di Sacerdoti ed ancora una volta aggravata nella sua povertà, provata nella sua necessità? Perché, in 3 anni di Episcopato, il dodicesimo funerale di un prete a fronte di una sola Ordinazione: ed io come Mosè ti ripeto: “Hai forse deciso di cancellare il tuo popolo?”

Ma l’ora nona, Signore, è anche l’ora del velo squarciato, dunque non solo del silenzio  e del gemito, ma l’ora della speranza, l’ora in cui l’occhio della fede riesce a penetrare lo spessore della tenebra e ad intravvedere la presenza dirompente della luce.

Questa è l’ora di Emmaus in cui, mentre cala la sera, sorge la nuova luce di una presenza, quella di Te Risorto e Vivente, fedele lungo le nostre strade, presenza tenace accanto al nostro cammino.

E noi ti riconosciamo nel segno del pane spezzato che è la tua vita donata, sacrificata per noi ancora stasera qui sull’altare; ti riconosciamo nel segno del pane spezzato che è la vita di Don Sandro, Tuo e nostro prete, diventato in mezzo a noi, dolorosamente e luminosamente, segno di Te, della Tua Croce che fa germinare la potenza della vita dentro la geografia della morte; ti riconosciamo nel segno del pane spezzato che è questa Tua Chiesa di Volterra che si scopre visitata ed amata da Te in ciò che la fa penare e faticare.

E, come ai discepoli di Emmaus, ci arde il cuore in petto mentre tu ci parli lungo la strada; ci arde il cuore in petto mentre accompagnamo al sepolcro questo nostro fratello, in quel Sabato Santo opaco certo, ma vibrante di attesa, che è questo tempo, questa vita nostra.

Ci arde il cuore in petto mentre ci allacciamo nuovamente i calzari e riprendiamo in mano il bastone del pellegrinaggio perché sappiamo che nel canto e nel pianto, nella vita e nella morte, per Don Sandro e per noi tu sei e rimarrai sempre l’Emmanuele, il Dio con noi.

 

 

+  Mansueto Bianchi