Omelia per l’Ordinazione Presbiterale di Don Tommi Fedeli e Don Francesco Spinelli

14-04-2007
Omelia per l’Ordinazione Presbiterale di
Don Tommi Fedeli e Don Francesco Spinelli

Basilica Cattedrale, 14 Aprile 2007

 

 

Sorelle e fratelli miei,

le Chiesa di Volterra, stasera, indossa il vestito luminoso della sposa e leva il canto gioioso delle nozze “perché forte è il suo amore per noi e la fedeltà del Signore dura in eterno”.

Anche il tempio di pietra, volto di questa Chiesa che peregrina nei secoli, sembra trasfigurato ed animato dalla gioia di questa assemblea che lo colma e lo eccede.

E tutti insieme, stasera, tempio di pietra e Chiesa viva di gente, siamo un canto, un unico canto a Colui che “era morto, ma ora vive per sempre ed ha potere sopra la morte e sopra gli inferi”.

E’ il sepolcro vuoto, è la gloria del Cristo Risorto in questo ottavo giorno che accende il canto della pietra e del cuore, e colma di un’unica gioia questa stupenda Cattedrale e l’assemblea che l’inabita.

Sorelle e fratelli miei, tornati a casa, noi diremo semplicemente così: lassù a Volterra abbiamo udito cantare le pietre, le sentivamo catare con noi, perché la pietra del sepolcro è stata rotolata via ed il bianco sudario della morte è divenuto il candido, luminoso vestito della sposa!

L’annuncio della Resurrezione sta oggi in mezzo a noi attraverso i due racconti delle apparizioni di Gesù che il quarto Evangelo ci ha consegnato ed attraverso questi due fratelli, Francesco e Tommi, che consegnano le loro giovani vite al Signore per il servizio della Sua Chiesa.

Nella prima e nella seconda apparizione del Risorto al pavido gruppo dei discepoli, sta al centro l’immagine delle mani e del costato trafitto.

Esso segna l’accesso del discepolo alla fede, alla pienezza della fede pasquale “non essere più incredulo, ma credente! Rispose Tommaso: mio Signore e mio Dio!”.

Ma segna anche l’uscita verso il cammino dell’annuncio e della missione “Gesù mostrò loro le mani ed il costato… e disse…: come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”.

Ecco: le piaghe del Risorto, le ferite aperte nella sua carne, soprattutto la ferita del costato di cui l’evangelista ha lungamente parlato, divengono le porte dell’accesso, fino alla pienezza dell’incontro, alla reciprocità dell’appartenenza che costituisce, nel pensiero del quarto Evangelo, la misura compiuta dell’essere discepolo, del diventare “suoi”.

Ma le ferite del Risorto sono anche la porta aperta attraverso la quale il dono della Rivelazione, l’effusione dello Spirito, la Chiesa-sposa nel dono dei Sacramenti, escono verso il cammino della missione, incontro all’uomo racchiuso nella geografia della lontananza, del dubbio, della paura, come i discepoli rinserrati “per paura dei Giudei”, oppure avvolto ed intriso nella tristezza della sera, come avverrà nel villaggio di Emmaus.

Quella porta, quell’accesso aperto nel costato, che il Risorto insistentemente presenta a Tommaso ed agli altri discepoli, chiama e rammemora un altro accesso che era stato chiuso al sorgere della nostra storia: “il Signore Dio scacciò l’uomo dal giardino e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini con la spada di fuoco per impedire l’accesso all’albero della vita” (Gen. 3, 24).

Ecco, nel costato trafitto di Cristo, l’accesso all’albero della vita è stato aperto, è divenuta pervia la strada che conduce al giardino.

Anzi, nel dono dello Spirito, è la vita stessa che esce incontro all’uomo, è il giardino di Eden che viene ad inverdire la nostra terra deserta.

Carissimi Tommi e Francesco, io penso a voi, al dono del Presbiterato che stasera vi viene conferito, come ad un essere costituiti al servizio di questo incontro, al servizio dell’accesso al costato aperto del Risorto. Un prete è il servo dell’incontro! Un prete è, per grazia, questa terra dell’Eden, questo giardino di Dio che fa fiorire il deserto, fa fruttificare la steppa.

E’ con la forza inerme della Parola, è con la potenza misericordiosa dei Sacramenti, è con la testimonianza innamorata della vostra vita che voi sarete i servi dell’incontro.

Ma prima di tutto occorre che tu, Francesco, e tu, Tommi, stendiate la vostra mano fino a toccare il costato trafitto, protendiate cioè la vostra vita verso il cuore del Risorto, verso la persona di Gesù.

L’anima di un prete, la sorgività profonda e pura del suo ministero è tutta qui, in questo protendersi della mano verso il Signore, in questo slanciarsi di una vita opaca e prosaica, quale la nostra è, verso il roveto ardente, verso quel fuoco che brucia e non si consuma che è il cuore del Signore Risorto. E questo slancio verso l’incontro, questo varcare la porta del costato è la vostra fede ed il vostro amore. Se quella mano tesa verso il costato si dovesse abbassare, se lo slancio della fede e dell’amore dovesse infiacchirsi, diventereste tristi attaccapanni di casule e camici, dischi rotti e incagliati che continuano a ripetere il loro ritornello di formule e riti.

Essere servi dell’incontro vuol dire anzitutto avere personalmente incontrato il Signore, ed ogni giorno ripartire verso al decisività di quell’incontro; vuol dire custodire nel centro della propria vita la memoria e la persona di Gesù, come uno scrigno custodisce il suo tesoro, la sua perla preziosa.

Essere servi dell’incontro vuol dire percorrere le strade del servizio apostolico mantenendo il cuore del discepolo ed ogni giorno seguire con amore Lui, che ti cammina dinanzi.

Essere servi dell’incontro vuol dire avere casa davanti a Lui, accoglierlo nella tenda della tua giornata, del tuo tempo, lasciare che si levi alto, in volo, il “noi” dell’alleanza e dell’amicizia con Lui. Per questo, Francesco e Tommi, se volete mantenere la gioia di ciò che stasera diventate, se volete mantenere negli anni la freschezza e la robustezza di quella mano tesa verso il costato, occorre che siate preti che sanno e vogliono personalmente pregare. Occorre che facciate lungamente dimora davanti al Tabernacolo. La forza del vostro cammino apostolico è tutta nei ginocchi piegati, in quell’intenso e prolungato dialogo interiore che ti mantiene negli anni innamorato del tuo Sacerdozio perché puoi dire, con la povertà e la trepidazione di Pietro: “Signore, tu sai tutto, tu lo sai che ti voglio bene”.

Ma il costato trafitto è anche la porta della missione, è il passaggio attraverso il quale l’amore di Dio si fa pellegrino verso ogni creatura, mendico sulla soglia di ogni vita.

Essere i servi dell’incontro significa amare la strada come la ama Dio, percorrerla anche con fatica e pena per bussare alla porta di ogni persona e porgerle, umilmente ed appassionatamente, quel dono di fede e di amore che voi avete ricevuto.

Torno a ripetervi quello che tante volte ho detto qui  a Volterra: il prete ha due tende piantate: una è davanti al tabernacolo e l’altra è sulla strada, dentro l’intreccio di vita della gente.

Tommi e Franceco, non siete fatti preti per rispondere a chi vi cerca: avreste qui a Volterra troppo riposo! Siete fatti preti per andare voi a cercare chi non vi cerca, chi si avvolge nel mantello bigio dell’indifferenza o del rifiuto.

Se la Chiesa di Volterra stasera è nella gioia, se anche le pietre cantano stasera a Volterra non è perché due campanili in più avranno un prete, è soprattutto perché con i vostri quattro piedi la terra dell’Eden, il giardino di Dio, uscirà dalla porta del costato di Cristo e farà fiorire di fede e di speranza le strade di questa nostra terra Volterrana, accenderà con il fuoco pasquale della vita la città del vento e del macigno!

Francesco e Tommi, vi guardo stasera e con voi guardo questo Presbiterio, le vostre famiglie, gli amici e tutta, tutta la gente che gremisce la nostra Cattedrale. Vi guardo e sento che l’onda del ricordo, e forse del rimpianto, vorrebbe salire alta dentro di me. Vi guardo e ricordo la storia di questi anni che sono stati il vostro Seminario ed il mio Episcopato, qui a Volterra. Mi verrebbe da dire, se non facessi ingiuria all’anagrafe: siamo cresciuti insieme, ciascuno lungo la propria strada, ma dentro la stessa Chiesa, quella di Volterra, quanto mai bella e fraterna.

Oggi continuate voi la stessa strada, voi Francesco e Tommi, tanto diversi nel carattere eppure così stupendamente amici per la pelle e fratelli nell’anima.

Continuate ad essere, per questa Chiesa con questa Chiesa, il braccio teso verso il costato trafitto, i servi dell’incontro con la Parola, i Sacramenti, la vita; coloro che fanno sorgere, costruiscono e custodiscono il “noi” della fede e dell’amore, il “noi” della Chiesa Volterrana.

 

 

+ Mansueto Bianchi