ORDINAZIONE PRESBITERALE DI DON ALESSANDRO BIAGETTI 2003

28-06-2003
ORDINAZIONE PRESBITERALE DI DON ALESSANDRO BIAGETTI

Omelia

 

Ci ritroviamo stasera, tutti, sulle sponde del lago, poiché quello è il luogo dove la povertà confessa l’amore: “Tu lo sai che ti voglio bene!”.

C’incamminiamo stasera, tutti, dietro ai passi di Pietro e Gesù perché quel loro dialogo c’intride ed abbiamo bisogno di dirGli, sottovoce come si confidano le cose decisive, che più forte del peccato è l’amore: “Signore tu sai tutto, tu lo sai che ti voglio bene!”.

Alessandro, tu sei qui stasera, davanti alla Chiesa di Volterra, davanti al suo Presbiterio, davanti al tuo Vescovo chiedendo di ricevere il dono del Sacerdozio ministeriale.

Ed io ti chiedo: a che titolo? Che titolo hai per assumere il ministero sacerdotale, per stare come prete dentro la comunità dei credenti?

Non fa titolo la tua preparazione culturale, non fanno titolo le doti umane, non fa titolo la tua bontà: solo fa titolo la tua povertà.

Quello che avviene stasera nello splendore muto di questo tempio, quello che accade nel silenzio orante di questa Chiesa viva è anzitutto un mistero di povertà.

Tu, come Pietro sul lago, ti accosti a Gesù stendendo la nuda mano, come fa il povero; niente puoi vantare, niente puoi esibire se non la tua trepidante e consapevole povertà. E questa diventa il luogo dell’abbraccio, lo spazio dell’accoglienza, ciò che fa titolo all’amore.

Una cosa vorrei chiederti Alessandro: non ti allontanare mai dal mistero di povertà che stasera ti avvolge e ti copre; non ti allontanare da questo stare, secondo l’espressione dell’Apocalisse, come un misero, un cieco, un nudo dinanzi a Colui che è la tua ricchezza, la tua luce, l’abito splendido della tua regalità e della tua nuzialità.

Non ti allontanare da questa elementare ed altissima verità che è la nostra povertà, perché è quella che ti aiuterà a rimanere obbediente e casto non come chi si china, scricchiolando, ad una gravosa legge, ma come chi si lancia leggero, verso la logica dell’amore. È lei che ti aiuterà a non lasciarti scolorare di grigio il cuore quando dovrai misurare il peso della vita da prete e l’opacità della Chiesa. È lei, la povertà, che ti aiuterà a ritrovare la strada, anche in mezzo ai tuoi tradimenti ed ai tuoi peccati, per tornare a dirGli: “Signore tu lo sai che ti voglio bene!”. È lei che ti aiuterà a rimanere misericordioso e fraterno dinanzi agli errori, ai peccati, alla malizia talora, di sorelle, fratelli e confratelli.

Perché la povertà, secondo la logica del Magnificat, è vita che si consegna, è accoglienza all’amore, fa titolo d’amore.

Ma la tua presenza qui stasera, correlativamente a quel mistero di povertà che ti avvolge e ti porta, è anche un evento di dono e di ricchezza.

Il Signore, per l’imposizione delle mani del Vescovo, ti colma del Suo Spirito e ti costituisce Maestro, Sacerdote e Pastore del Suo gregge.

Essere preti vuol dire diventare Sacramenti personali di Cristo Signore. Noi povere creature, poveri uomini, siamo configurati a Lui nella profondità del nostro essere, diventiamo luogo della Sua presenza, strumento della Sua azione. Il prete non è un funzionario di cose sacre, il professionista della Parola e dei Sacramenti, il prete è un espropriato da Cristo, perché la sua vita, la sua persona divenga il rendersi presente, il riproporsi della persona e dell’agire di Gesù dentro la Chiesa, per la vita del mondo.

Proprio perché il Signore, con la forza e la soavità dello Spirito, prende possesso della tua vita, Egli affida al tuo cuore e pone nelle tue mani ciò che più ha amato, ciò che Gli è costato sangue: la Sua Chiesa.

Alessandro, amala questa Chiesa di Volterra, amala più di te stesso, amala più della vita. Amala non perché ti dirà “bravo”, non perché ti corrisponderà o ti seguirà, non perché ti meriterà; amala perché Gesù l’ha amata fino a morire, perché se ha meritato l’amore di Dio può ben meritare il tuo, il nostro.

Amala questa Chiesa di Volterra con cuore di prete, cioè di pastore e di padre; amala chiedendoti non ciò che da lei puoi ricevere o ricavare, ma cosa ancora le puoi regalare. Amala pensando non che tu sei un dono per lei, ma che lei è un dono per te. Amala perché in verità non hai nessun altro modo di servire, seguire, amare il tuo Signore se non quello di spenderti sino alla fine per questa Sua Chiesa Volterrana.

C’è un’ultima cosa che voglio dirti, Alessandro, nella commozione intensa e nella misura di Grazia che colma questa sera, ardente e pacata.

È quella che diceva Gesù a Pietro, sulla riva del lago: “Quand’eri giovane ti cingevi la veste da solo ed andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio stenderai le tue mani, un altro ti cingerà la veste e ti condurrà dove tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse “seguimi!””.

Quello che ti devo dire è bello e terribile insieme: per diventare preti, per rimanere preti, per essere preti bisogna vendere la pelle! Prete vuol dire presbitero e presbitero significa “anziano”. Pur nella freschezza e nel rigoglio dei tuoi 26 anni, tu prete sei un anziano: uno, come diceva Gesù, che tende le mani e si lascia determinare da un altro, uno che sceglie come misura colma e coronamento del vivere il “seguire” Gesù lungo la strada.

Attraverso quelle parole Gesù diceva a Pietro che per essere discepoli bisogna vendere la pelle al Vangelo, per essere discepoli bisogna consegnare la vita al Signore.

E questo non è volo di farfalla tra i fiori, è gemito e fatica, è fedeltà e costanza, è capacità di continuare la canzone del cuore anche sotto il cielo grigio dei giorni.

Questo vendere la pelle, questo tendere le mani e lasciarsi condurre, è in definitiva la gioia ed il peso della sequela, la gloria ed il gemito dell’essere discepoli.

Vieni dunque Alessandro, vieni in questa Chiesa di Volterra che ti accoglie nella gioia come suo nuovo prete, dono prezioso del Signore per il nostro cammino.

Vieni in questo Presbiterio che porta con grande dignità e fortezza il peso crescente del servizio ministeriale e ti accoglie e ti saluta come il fratello più giovane che fa rinverdire l’attesa e ridesta al speranza.

Vieni con il Vescovo, con il Presbiterio, con la Chiesa tutta di Volterra lungo la riva del lago, dietro ai passi di Gesù e di Pietro, per tornare a cantare stasera, come un menestrello, quella che sarà la canzone dei giorni, il canto della vita: “Signore tu sai tutto, tu lo sai che ti voglio bene!”.